l’Unità 25/5/2014, 25 maggio 2014
PROTEINA DEI RICORDI – [L’ALTRA FACCI ADEI PRIONI SCOPERTA DA ERIC KANDEL, NOBEL PER LA MEDICINA]
[Eric Kandel]
«CREDETE VERAMENTE CHE DIO ABBIA CREATO I PRIONI PER UCCIDERE?». Una domanda provocatoria quella formulata qualche tempo fa da Eric Kandel, neuroscienziato, psichiatra e vincitore del premio Nobel per la medicina nel 2000. E, in effetti, è stato proprio Kandel a trovare un’altra funzione, oltre a quella di killer, a questi strani «oggetti» della biologia che non sono organismi viventi – perché non hanno né Dna né Rna – ma che sono però da considerare a tutti gli effetti agenti infettivi. I prioni sono proteine ripiegate in un modo «sbagliato» che hanno la capacità di indurre le altre proteine con cui vengono in contatto ad assumere la loro strana forma e che possono essere trasmessi da un individuo malato a uno sano. Sono conosciuti soprattutto come la causa di encefalopatie molto gravi, la più famosa delle quali è la malattia di Creutfeldt Jakob e la sua variante più nota come «morbo della mucca pazza». Ma Kandel ha scoperto che queste strane proteine hanno anche una funzione positiva e fondamentale, quella di aiutarci a conservare i ricordi.
Professor Kandel, insieme ad altri ricercatori lei ha mostrato che i prioni giocano un ruolo importante nella formazione della memoria a lungo termine. Ci può spiegare come?
«Io e i miei colleghi abbiamo trovato che oltre ai prioni patogeni, i killer che Stanley Prusiner ha descritto per primo, esistono nel cervello dei prioni “funzionali” che aiutano le normali funzioni fisiologiche delle cellule nervose. Questi prioni non si modificano spontaneamente come fanno i prioni patogeni, ma lo fanno in risposta a segnali fisici. I primi prioni di questo tipo sono stati trovati nelle sinapsi (le connessioni tra una cellula nervosa e l’altra, ndr) dove controllano la sintesi locale delle proteine e servono a mantenere attive alcune connessioni sinaptiche che consentono la memoria a lungo termine».
Di che cosa parlerà nel suo intervento al congresso sui prioni di Trieste?
«Descriverò questa prima classe di prioni funzionali che abbiamo trovato nella lumaca, nel moscerino e nel topo e che sono chiamati CPEB (cAMP response element-binding protein). Inoltre, parlerò di una nuova classe di prioni funzionali, chiamati TIA, che sono coinvolti nel disturbo da stress post-traumatico».
Comprendere la mente umana è una sfida che ancora non abbiamo vinto. Benché siano stati fatti molti progressi, ancora molte questioni restano aperte: cos’è l’emozione? E la creatività? E l’intuizione?
«Sì è proprio così: la mente umana è un’enorme sfida per la biologia e la maggior parte delle domande che ci poniamo sono ancora senza risposta. Tuttavia, non ho ragione di credere che un giorno, tra decine di anni, non saremo in grado di rispondere a queste domande, magari con gradi diversi di successo».
Memoria, mente, cervello sono temi da sempre al centro della sua attenzione. Ma nel suo nuovo libro, «L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai giorni nostri», lei si spinge oltre e ci fa scoprire dei punti di contatto tra la scienza della mente e Carte sorti proprio nell’Austria del primi del Novecento. È un dialogo tra le cosiddette due culture, quella scientifica e quella umanistica, che lei ritiene debba essere mantenuto vivo. Perché?
«Credo che il grande interesse suscitato dalle scienze del cervello non derivi solo dal fatto che ci permettono di intuire in modo diverso quello che siamo, quello che pensiamo, crediamo o ricordiamo, ma dal fatto che la nuova scienza della mente è capace di iniziare a dialogare con molte altre aree del sapere come l’arte, la musica, il processo decisionale. Ognuna di queste aree può essere arricchita dalla discussione con le scienze del cervello e, viceversa, le scienze del cervello si arricchiscono attraverso l’esplorazione di queste nuove aree. Questi dialoghi possono aiutarci ad indagare i meccanismi cerebrali che rendono possibili la percezione e la creatività nell’arte, nelle scienze e nella letteratura come nella vita quotidiana».
Nel libro lei prende posizione a favore del riduzionismo sostenendo che «può espandere la nostra visione e fornire nuove intuizioni sulla natura e sulla creatività dell’arte». È un’affermazione coraggiosa in un momento in cui il riduzionismo non gode di buona fama. Quali sono i vantaggi di una scienza riduzionista?
«La scienza riduzionista ha il vantaggio di focalizzare l’attenzione su un problema e cercare di capirlo nel modo più chiaro e completo possibile. Ma una volta che alcuni problemi elementari di un’area sono stati risolti con successo, abbiamo bisogno di combinare la scienza riduzionista con la scienza sintetica (o scienza della complessità, ndr) in modo da poter apprezzare le questioni e i problemi più ampi».
L’inizio del XX secolo è stata l’era dell’inconscio. Che era è quella in cui viviamo?
«Direi che viviamo in un’epoca nella quale la sfida più grande riguarda la nuova scienza della mente: capire i processi mentali, sia quelli consci che quelli inconsci».