Thomas Leoncini, Il Giornale 27/5/2014, 27 maggio 2014
QUEGLI ALCOLISTI ANONIMI AL LAVORO CON LA BOTTIGLIA
Ogni mattina il freddo si faceva più aggressivo, entrava sotto il maglione di lana e anche sotto la maglietta di cotone felpato, a stretto contatto con la pelle.
Michele mi racconta che alla 6 di mattina, in piedi sui ponteggi, una barriera immortale fra te e il freddo non esiste, non puoi tirarla su nemmeno con i migliori tessuti, finisce inevitabilmente per soccombere.
Il 43enne milanese mi racconta che una mattina di dicembre di tre anni fa, invece di bersi la solita tazza di latte, con un gesto di stizza riempì un bicchiere con del vino rosso. Fino all’orlo. Lo buttò giù e per tutta
la mattina non provò freddo nemmeno per un attimo, si sentiva il miglior muratore di tutta la Lombardia. Ma c’è di meglio, quel giorno si sentì molto più appagato del solito dal suo lavoro. Quanto è bastato per ripetere l’operazione le mattine successive.
Michele dopo un anno da quel giorno è diventato disoccupato: «Ero dipendente dall’alcol sul lavoro, non ho mai bevuto un solo goccio con gli amici, che probabilmente mi credevano astemio. Bevevo solo prima di lavorare, mi rendeva brillante, piacevo anche di più alle donne. Finché persi completamente la lucidità. Ho picchiato a sangue un mio collega, dicono volessi ucciderlo, non ricordo nulla, ero come posseduto. Posseduto dall’alcol. Ho una denuncia penale ancora oggi in giudizio».
La storia di Michele può sembrare un caso isolato, ma non è così: in Italia c’è un vero e proprio esercito di uomini e donne che fanno il pieno di alcol prima di andare al lavoro, e sono spesso le persone più insospettabili. Non sono solo i muratori come Michele, che bevono alcol per non sentire il freddo, sono liberi professionisti, manager, ma anche professori universitari e medici. Tutti sono riassumibili nell’americanismo «work-alcoholic», dipendenti dalla bottiglia sul luogo di lavoro.
Che il 75% degli italiani consumi alcol non è un dato che stupisce (l’87% degli uomini e il 63% delle donne), il dato non si discosta molto da altre stime di paesi europei. Quello che merita attenzione è che il primo bicchiere in Italia viene consumato in media a 11/12 anni, l’età più bassa dell’intera Ue (la media europea è 14,5 anni) come se ci fosse un’autentica filosofia dell’alcol che si tramanda da genitori a figli. Uno studio recente nato dalla collaborazione Fipe-Censis, sfata infatti il mito secondo cui i ragazzini cominciano a bere alcolici per colpa del branco di coetanei: pare che sia proprio la famiglia stessa ad incoraggiare i primi sorsi.
I bevitori italiani che l’Istat definisce a rischio sono 3 milioni e sono invece un milione gli alcolisti accertati. In diminuzione gli astemi. Quelli che bevono di nascosto sul posto di lavoro o che fanno il pieno prima di andarci fanno parte di quei 3 milioni a rischio, ma sfuggono da ogni categorizzazione precisa.
Marta, 38 anni, non ha mai toccato una goccia di alcol, è astemia. Ma è la moglie di Marco, 48enne ex taxista fiorentino. Marco beveva ogni mattina, al lavoro, e l’ha fatto per anni, senza che nessuno se ne accorgesse, compresa la moglie. «Per mio marito bere superalcolici al mattino era come fare il pieno di vitamine. Poi una mattina ha investito un pedone e l’ha ucciso. L’alcol test rivelò il suo segreto».
Marta mi racconta di aver pensato di lasciare il marito per non avergli rivelato prima il suo vizio, ma poi continua: «Mio marito è stato un uomo forte due volte: nel sapersi mimetizzare fra familiari, amici e colleghi per anni e nel saper dire basta. Oggi ce l’abbiamo fatta, ho deciso di comprenderlo invece di fargliene una colpa, e ho cominciato con lui un nuovo percorso di esistenza, un’autentica rieducazione alla vita». E ancora: «L’alcolista non va lasciato solo, amiamoli questi malati, amiamoli come se fossero bambini che debbono crescere perché - per un motivo o per l’altro - non ce l’hanno fatta prima».
Non stupisce che gli abitanti del Paese che vanta insieme alla-Francia la maggior produzione di vino del mondo amino assaggiare quello che producono. Ce l’abbiamo nel dna e possiamo pure vantarcene. Ma la media di un ricovero ospedaliero su dieci causato dall’alcol, per un costo sociale di 13 miliardi di euro l’anno non è un dato di cui vantarsi. Uno stivale così fa alcol da tutte le parti.