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 2014  maggio 27 Martedì calendario

MONUMENTS MEN, MISSIONE ITALIA


LA STORIA
Uno ha insegnato in università e scritto 18 libri; un altro ha voluto riposare a Firenze: ne hanno portato le spoglie a San Miniato, vicino a Carlo Collodi, l’autore di Pinocchio; un terzo è ritornato in Italia, e ha diretto per 30 anni la British School a Roma: sono i Monuments Men che hanno agito nella penisola, alcuni dei 48 che hanno salvato capolavori d’arte nel Mediterraneo durante l’ultima guerra. Con a capo un colonnello: dapprima l’americano Mason Hammond, 40 anni, docente a Harvard poi, l’inglese John Bryand Ward-Perkins, archeologo del London Museum, 31 anni. Per la prima volta, le loro avventure, un’autentica epopea, sono narrate in un libro: esce oggi e si presenterà domani ai Musei Vaticani. È «Monuments Men, Missione Italia, la sfida per salvare i tesori d’arte trafugati dai nazisti», di Robert M. Edsel, autore anche del volume che ha ispirato l’omonimo film di George Clooney (Sperling & Kupfer, 400 pag., 16,90 euro). In due anni (1943 - 45) hanno fatto di tutto, trasformandosi da segugi anche in manovali, per salvare infinite bellezze. Hanno trovato foto aeree, perché i bombardieri alleati non si dovessero basare soltanto sulle mappe quando attaccavano le città; al confine e all’estero, hanno recuperato quanto che Hitler aveva razziato per il suo futuro museo di Linz; seguito le tracce della Maestà di Duccio da Buoninsegna di Siena, trovandola «in una villa tra soldati feriti e sotto il fuoco dell’artiglieria»; o della Danae di Tiziano, che da Napoli era finita nella miniera di sale di Altaussee.
GLI ITALIANI
Accanto alla mia scrivania, ho da sempre, incorniciato, un avviso inglese: «Off limits, vietato a tutto il personale militare», firmato dal «comandante supremo in Italia», il generale Harold Alexander. E’ uno di quelli che gli alleati ponevano sui «monumenti d’importanza storica o artistica». In una scansia accanto, i libri che raccontano l’eroismo di Pasqualino Rotondi, che, ad Urbino, protesse e nascose i tesori di mezza Italia. Con Emilio Lavagnino, Giulio Carlo Argan, Bruno Molajoli, Giovanni Poggi e pochi altri, è tra gli italiani, elencati, che lavorarono con i Monuments Men. Il libro ne racconta le emozioni e le scoperte; i colloqui; le paure. Per errore, a Padova, una bomba d’aereo colpisce gli affreschi di Mantegna; il tenente Fred Hartt dice: «Che sia salva la Cappella degli Scrovegni è un caso fortuito». E a Pisa, per rimettere in sicurezza quanto resta dei dipinti al cimitero del Campo dei Miracoli, in 34 giorni coprono i reperti con una tettoia, e una tela cerata e catramata. E a Firenze, quando nel 1945 una squadra riporta le sculture di Michelangelo e di Donatello, il capitano Deane Keller fa un disegno del camion che scarica, e lo manda al figlio Dino, tre anni: nel 2000, Dino vorrà che le ceneri paterne siano collocate nel camposanto vicino alla Torre di Pisa. Hartt era divenuto cittadino onorario di Firenze, si scriveva con Bernard Berenson.
LA RETE DI AGENTI
In Italia, i Monuments Men organizzano reti di agenti, nel nome del salvataggio culturale. Pietro Ferraro, in codice Margot è determinante per proteggere Venezia: da una camera all’Hotel Danieli gestiva un centralino telefonico, era in contatto con alleati e brigate partigiane. A Firenze, c’era Alessandro Cagiati, romano, emigrato negli Usa nel 1934 e divenuto agente dei servizi, sbarcato in Sicilia e subito mandato a occuparsi d’arte; «aveva agenti sparsi in tutta l’Alta Italia»: fondamentale per ritrovare le antichità sparite. Non tutte sono state trovate: mancano la Madonna del velo di Raffaello degli Uffizi, portata via dalla villa nel Mugello dove era nascosta; o di Botticelli, un Ritratto di Giovane rubato nel Nolano, già al museo Filangieri di Napoli; o un’Adorazione dei pastori del Greco, dei Contini Bonacossi, trafugata a Poggio a Caiano, Rubens, Memling e tanto altro; con i Monument Men, a lungo, se n’è occupato Rodolfo Siviero. E certi errori hanno fatto piangere i Monuments Men, prontissimi ad arrivare a Milano, a Santa Maria alle Grazie: Keller annota la distruzione per una bomba aerea del chiostro e «della parete orientale del refettorio di fronte all’Ultima Cena di Leonardo»; ma il dipinto era stato protetto da sacchetti di sabbia: a lungo, il capitano americano teme, «per un po’ non sapremo in che condizioni si trovi, potrebbe essere stata distrutta». E così via. Per la prima volta, un nucleo specializzato ha agito in Italia, per poteggerne i tesori: qui ci sono le loro prodezze, e i loro racconti. Perché «un’opera d’arte non è come un diamante: non vi sarà mai una somma di danaro in grado di sostituirla», diceva il generale Wilson, che comandava gli alleati nel Mediterraneo. Uno soltanto dei Monuments Men era soldato semplice, gli altri graduati, o ufficiali. Onore e grazie a loro, per sempre.