Aldo Grasso, Corriere della Sera 27/5/2014, 27 maggio 2014
IL CATALOGO ELETTORALE DEI LUOGHI COMUNI
Domenica sera, nell’attesa dei risultati elettorali, pensavo al solito teatrino di luoghi comuni che di lì a poco sarebbe iniziato. Che gli exit poll sono mendaci, che bisogna attendere, che in passato ci sono state brutte sorprese... È andata più o meno così, ho seguito Enrico Mentana, ma fortunatamente mi sono imbattuto nel blog «Cattiva maestra» di Emanuele Menietti (il Post) dove venivano elencate tutte le frasi fatte che si sentono dire in video prima dei risultati elettorali.
Si andava dai primi intervistati («Aspettiamo i dati reali», «È troppo presto per fare previsioni, sappiamo come è andata altre volte»…) agli inviati nelle sedi di partito («Qui c’è un clima di grande attesa»?, «Per ora ci sono poche persone, ma la sala si sta riempiendo»...?), senza tralasciare gli inviati del bicchiere mezzo pieno («Qui i dati arrivano molto lentamente», «Il dato delle proiezioni è diverso da quello reale parziale…») e con un particolare riguardo alle parole più ricorrenti («forchetta», «forbice», «dato reale»…).
L’elenco di Menietti è divertente e, fatalmente, lo si potrebbe estendere ad altri programmi. Di più: lo si potrebbe applicare anche ai varietà, a certe fiction (Christian Metz la chiamava «la grande sintagmatica»). Per una ragione molto semplice: la comunicazione mainstream può funzionare solo per stereotipi, rafforzati da quel motore primo che è la ripetizione.
Ogni catalogo di idées reçues si sviluppa tra due poli: il linguaggio e il costume. E poiché l’uno è il rispecchiamento dell’altro, l’ironia linguistica diventa parodia dei comportamenti e gli indugi sulle mode culturali si trasformano in scorci sulle irresponsabilità verbali. Come sostiene Nicolás Gómez Dávila, «quando un luogo comune ci colpisce crediamo di avere un’idea nostra». Ecco spiegato il segreto dello strepitoso successo dei luoghi comuni.