Dario Di Vico, Corriere della Sera 27/5/2014, 27 maggio 2014
IL NORD CONTESO DAI DUE MATTEO CORSA ALLA «PACE» CON IL CETO MEDIO
Matteo Salvini è dunque riuscito nel miracolo di rimettere in pista la Lega Nord che sembrava politicamente spacciata. Il risultato finale è pari al 6,2% e, seppure non è minimamente paragonabile con le performance degli anni d’oro del Carroccio, fa registrare però una secca inversione di tendenza rispetto alle politiche del 2013. Persino in valori assoluti, ovvero in numero di votanti, la Lega ha acquistato il consenso di 294 mila persone. In più il leader che è subentrato a Roberto Maroni ha fatto segnare un successo personale che non era prevedibile. Sommando le preferenze incassate nella circoscrizione Nordovest (più di 222 mila) con quelle del Nordest (108 mila) Salvini porta a casa oltre 387 mila voti che lo hanno consacrato assieme a Simona Bonafè come il più votato di questo turno elettorale. Il tutto è stato poi ottenuto di fatto in cinque mesi e il dettaglio non fa altro che sottolineare la capacità d’urto di Salvini, che come ha avuto modo di sottolineare nella prima conferenza stampa di ieri ha guadagnato per la Lega anche 200 mila voti tra Centro Italia e Sud, con un incoraggiante 2% nel Lazio. La relativa spalmatura dei consensi sull’intero territorio nazionale (il Carroccio è il primo partito a Maletto, un paesino ai piedi dell’Etna) è dovuta all’adozione di una parola d’ordine come «No euro» che ha stemperato il carattere nordista del partito e lo ha presentato come la forza più coerente del fronte euroscettico. Nei vari riepiloghi fatti ad uso delle telecamere Salvini ha attribuito la vittoria anche ai due referendum lanciati dalla Lega, uno contro la riforma Fornero del lavoro e l’altro contro la legge Merlin sulla prostituzione ma è difficile misurarne il reale impatto. Sono stati tutt’al più un completamento d’offerta. L’impressione comunque è che il segretario adottando la tattica del primum vivere abbia riportato a casa un cospicuo numero di voti leghisti che alle politiche erano emigrati sotto le bandiere di Grillo.
La vittoria della Lega però reca con sé un paradosso, nel giorno in cui in via Bellerio si brinda il Pd è diventato di gran lunga il primo partito del Nord che smette di essere «terra ostile» per le bandiere del centro-sinistra. Il dato del Lombardo-Veneto è eclatante e proietta il Pd nella pole position per le elezioni regionali venete del 2015. Pur avendo Salvini miracolato la sua ditta il confronto Lega-Pd ha dell’incredibile. Il partito di Renzi in Lombardia vale ora il 40,3% contro il 14,6% leghista e in Veneto è arrivato al 37,5% e supera largamente il Carroccio in tutte le città del Settentrione con la sola eccezione di Sondrio. Nella campagna elettorale il premier aveva curato il Nordest in maniera particolare: il giro nelle scuole era partito da Treviso poi Renzi era tornato per Vinitaly a Verona così come era stato presente all’adunata degli alpini a Pordenone e aveva voluto battezzare di persona a Palazzo Chigi con i sindacalisti la faticosa chiusura dell’accordo Electrolux. Un tour di grande efficacia tanto che oggi il segretario veneto del Pd, Roger de Menech, può dire che «i veneti sono stanchi di essere governati dal centro-destra». Un’affermazione che anche solo qualche settimana fa avrebbe provocato sincera ilarità. È accaduto, per dirla con Massimo Cacciari, che stavolta il Pd è riuscito a far pace con il ceto medio in virtù di un nuovo interclassismo capace di attrarre imprenditori ed operai. Qualcosa del genere è accaduta anche nella culla del leghismo: Varese. Il parlamentare del Pd, Davide Marantelli, quando snocciola i dati del suo partito a Varese città non trattiene la battuta: «Siamo arrivati al 41,8% e la Lega è rimasta al 14,6%, spero che il trionfo di Salvini continui sempre così». In provincia il differenziale è più ridotto (37 a 16) ma rimane comunque incredibile. «Abbiamo sempre sognato un partito capace di parlare ai piccoli imprenditori e con Renzi tutto ciò è diventato realtà» chiosa Marantelli. Più il Pd mostra, come nel caso del decreto Poletti, di saper fare i conti con la Cgil senza subirne i veti, più nei distretti artigiani del Nord i consensi crescono. È evidente come il Pd non abbia ancora una politica convincente né per i territori (fiere, infrastrutture, aeroporti) né per le partite Iva e quindi non abbia ancora sfilato al Carroccio la primogenitura nordista ma il terremoto c’è stato comunque.
Che cosa farà Salvini davanti a questa importante novità? Il leader leghista ieri è subito partito all’attacco della giunta Pisapia proponendosi come ariete per l’intero centrodestra ma anche in questo caso dovrà fare i conti con il Pd che a Milano città è arrivato al 44%. E quindi l’operazione non è facile, serve solo a produrre adrenalina. Anche perché la rivitalizzazione della Lega non corrisponde a un refreshing del federalismo, la parola chiave che ha determinato l’epoca d’oro del Carroccio e lo sfondamento elettorale tra i borghesi di città. Anche i sentimenti indipendentisti dei veneti con l’incredibile storia del tanko nelle urne si sono stemperati e non hanno premiato più di tanto la lista leghista. Salvini quindi dovrà decidere: se continuerà nella linea a dominanza euroscettica privilegerà il dialogo con Marine Le Pen, se invece tenterà di tornare al padanismo ricercherà l’asse con la Catalogna. Sommare le due cose non è semplice.