Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 26/5/2014, 26 maggio 2014
L’AFFLUENZA CALA MA NON TRACOLLA
In base alle stime provvisorie si conferma che in Italia, anche questa volta, si è votato più che altrove. Mancano i dati definitivi degli altri paesi della Unione e a dire il vero nemmeno il dato italiano sulla affluenza alle urne è sicuro, ma è probabile che la cifra definitiva non si discosterà significativamente da quella stimata poco dopo la chiusura delle urne. Da sempre l’Italia si distingue per la propensione dei suoi cittadini a votare. È vero per tutti i tipi di elezione. Certo, per le europee si vota meno che per le politiche o per le amministrative, ma l’affluenza è comunque elevata se vista in chiave comparata con gli altri paesi europei. Molti si lamentano della crescita dell’astensionismo nel nostro paese, ma in realtà il quesito interessante è perché in Italia si continua a votare più che altrove. Nel 1979 quando si è votato per la prima volta per il Parlamento europeo si sono recati alle urne l’86,1 % degli elettori. Da allora l’affluenza è scesa fino a toccare il minimo del 66,5% alle ultime elezioni del 2009. Adesso pare che si attesterà tra il 55 e il 60%. In un solo caso – tra il 2004 e il 1999 – si è assistito ad un incremento, pari a 2,3 punti. Complessivamente nell’arco di 35 anni la diminuzione della affluenza, e quindi la crescita dell’astensionismo, è stata di quasi 30 punti percentuali, se le stime attuali saranno confermate. Nello stesso periodo (1979-2013) a livello di elezioni politiche la crescita dell’astensionismo, è stata di circa 15 punti. Da poco meno del 10% del 1979 è passato a quasi il 25% del 2013. Col tempo il divario tra l’affluenza alle politiche e quella alle europee è andato progressivamente aumentando. All’interno di una tendenza generale di declino della partecipazione elettorale si è votato sempre meno alle europee rispetto alle politiche. Nel 1979 si è votato sia per il Parlamento di Roma che per quello di Strasburgo e la differenza nel tasso di partecipazione elettorale fu inferiore ai 5 punti percentuali. Nel 1994 c’è stata la stessa coincidenza e il differenziale è stato di 11,5 punti. È salito a 14 punti alle europee del 2009 rispetto alle politiche dell’anno prima. Se si fosse riprodotto lo stesso divario tra queste elezioni europee e le politiche dell’anno scorso quando ha votato il 75,2 % degli aventi diritto la percentuale dei votanti avrebbe dovuto essere all’incirca il 60 %. Se si attestasse tra il 55 e il 60% come pare in base alle stime provvisore non sarebbe, tutto sommato, un cattivo risultato. I timori della vigilia relativi a un possibile drammatico crollo della affluenza si sono rivelati forse infondati. Si temeva l’impatto negativo del voto in una sola giornata, ma pare che non ci sia stato. In parte questo è dovuto al fatto che si è votato in oltre 4.000 comuni e in due regioni. Questa consultazione ha coinvolto circa 17 milioni di elettori e, come si vede dai dati preliminari, ha visto una partecipazione al voto più elevata. In altre parole si è votato di più in quei comuni in cui europee, comunali e regionali erano abbinate. Ma questa non è la sola ragione della mancata drammatica crescita dell’astensionismo. C’è sicuramente dell’altro. Solo quando avremo i dati dei sondaggi post-elettorali si potranno fare delle analisi accurate. Oggi si possono fare solo ipotesi. Si può dire che abbia giocato un ruolo il fattore europeo. Non nel senso che gli italiani siano stati attirati dall’idea di votare i vari candidati alla presidenza della commissione europea, ma perché la crisi economica in cui ci dibattiamo da anni ha portato in primo piano l’Europa e ne ha fatto uno dei temi della campagna elettorale. Ma forse il vero motivo per cui l’astensionismo non è cresciuto drammaticamente è che la rabbia da una parte e la paura dall’altra hanno convinto molti elettori a recarsi alle urne. In questo il ruolo di Grillo e del suo movimento è stato determinante. In questo senso queste elezioni sono state sentite non tanto come elezioni europee ma come elezioni nazionali. Come una specie di secondo turno rispetto alle politiche del Febbraio dello scorso anno. Con attori in parte diversi e con regole certamente diverse. Non sappiamo ancora quanto diversi saranno i risultati.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 26/5/2014