Chiara Daina, Il Fatto Quotidiano 26/5/2014, 26 maggio 2014
“VENITE CON ME A SALVARE LE PAROLE DIMENTICATE”
Ai piedi ha un paio di All Star verde bosco con i lacci rossi, per camminare svelta in città, visto che dell’auto può farne a meno. E al collo un ciondolo argentato con la scritta “facitoio”, che significa “si può fare”, per ricordarsi che vale la pena inseguire i sogni. Una parola che Sabrina D’Alessandro, 38 anni, frangetta nera e capelli lunghi sotto le spalle, ha ripescato nel dizionario della Crusca del 1600 e ha fatto subito sua, come un talismano della vita. “Tanto oggi di fame non si muore, quindi a osare non si sbaglia mai. Anzi – insiste – avere il coraggio di fare quello che ci piace è il modo migliore per tutelarci”. Lei, milanese doc, si è presa alla lettera. Dopo una laurea in Architettura, dieci anni in un’agenzia pubblicitaria, ha mollato tutto per fare quello che la fa divertire di più: andare a caccia di parole antiche cadute in disuso e dare loro una seconda chance. “Prima studio la loro etimologia e poi le trasformo in un’opera d’arte: un quadro, una scultura, un video, un’istallazione o una performance”. Più che una passione, una missione: Sabrina mette in salvo tutte quelle parole che non usiamo più per non perdere la memoria di quello che siamo stati. “La parola contiene l’immaginario di un’epoca, è una specie di poesia – spiega –. Conoscerla serve ad allargare lo sguardo sulla realtà, a cogliere sfumature cui mai avremmo pensato e dettagli che fanno la differenza”. Dunque a Berlusconi, suggerisce lei, ha senso dare del salapuzio, cioè uomo di piccola statura con un’alta considerazione di sé, saccente e libidinoso. Brunetta diventa un burbanzoso, spocchioso che sminuisce gli altri per esaltare se stesso. Il resto della casta potrebbe benissimo incassare insulti del tipo: faloppona (boriosa), gagarona (vanesia), panurgo (imbrogliona). Nella sua casa-atelier o “ufficio con cucina” come piace chiamarlo a lei, visto che qui ci dorme, mangia e lavora, ma ufficialmente battezzato “Ufficio di resurrezione delle parole smarrite”, al secondo piano di un palazzo in via Maiocchi, a Milano, ha creato col tempo un inventario di mille parole, che risalgono al 1300 fino al 1900. Sono appese, dipinte, scolpite, scandite, fotografate, videoriprese. Nascoste nella credenza, di fianco al frigorifero, sopra la lavatrice. È la parola che si fa oggetto. Una più di tutte per Sabrina incarna lo spirito della società di adesso: l’ affralimento collettivo, una schiera di pulcini immobilizzati sui denti di una sega inchiodata al muro. Tradotto: un atteggiamento di prostrazione senza rivoluzione. Sinonimo del lamentarsi senza reagire. C’è anche in versione daddoloso, che suscita compassione per attirare l’attenzione: il pulcino si erge sul morsetto da falegname. E poi, aggiunge, “è pieno di gente affetta da rifruga-mento fanfalucco, avete presente quelli che si fanno l’esame di coscienza per finta e perseverano nell’errore?”. Sabrina li rappresenta con una maschera incollata su uno specchio rotondo.
Nell’elenco dei nomi smarriti c’è anche quello per chiamare la dipendenza da shopping compulsivo: oniomania. Quello per l’amore ricambiato: redamazione. Perché è sparito? Chiediamocelo. E la definizione di una persona fastidiosa: Culaio, come la mosca cavallina che aggredisce il sedere del cavallo. “Per anni ho sottolineato i termini rari e stravaganti sui libri che leggevo e spulciato decine di dizionari”. Come il primo vocabolario dell’Accademia della Crusca del 1612, il Tommaseo del 1861, il Petrocchi del 1891, il Pianigiani del 1907. Fucine di parole bizzarre tanti autori: da Machiavelli, Dante, Ariosto, Bembo a Gadda, Landolfi, Marinetti, D’Annunzio, Pascoli e Pasolini. Sabrina se li è letti per filo e per segno. Una, due, tre volte. Poi nel 2009 quello che era soltanto un hobby diventa un mestiere. Il primo passo è “Il cimitero delle parole altrimenti defunte” (parole su carta stropicciata alle pareti e accartocciate a mucchio per terra) che presenta all’interno di una mostra collettiva. Poi non si è più fermata. Oggi all’attivo ne ha più di venti, l’ultima alla Triennale di Milano due mesi fa. Oltre a due libri pubblicati: Il libro delle parole altrimenti smarrite (Rizzoli) e Ufficio Resurrezione–Archivio 1 (Grafica European Center of Fine Arts). Un sito web: ufficioresur rezione.com . E l’asta di parole del 16 aprile scorso alla Basilica di Sant’Ambrogio, nel cuore della Milano romana: “Una follia pura – dice lei – per fortuna è andata bene”. Sedici parole incorniciate battute all’asta, fino a 199 euro, come ponzamento (meditare a lungo, con fatica e senza conclusioni) e lillo lillo (piano piano). Lei si (pre)occupa di più delle parole che parlano di quello che siamo. Quelle che funzionano a mo’ di scrigno dell’anima. La sua preferita è “il piacere del magnolino”: “Denota un piacere tutto personale che si ha nel fare qualcosa, che per gli altri può risultare incomprensibile. Deriva da Benedetto Magnolini, un nobile fiorentino del 500, che in un giorno di pioggia andò in mantello, cappuccio e zoccoli da Firenze a Pisa per una strada fangosa e quando gli amici gli chiesero perché l’avesse fatto lui rispose: ‘Per piacere’”. Le parole dimenticate sono il pretesto per ritratti su commissione. “Passo due giorni con la persona, a casa sua, per capire che tipo è, poi mi faccio venire in mente un aggettivo e una forma”. Usando tutti i materiali possibili. Anche un collage digitale di foto, un birillo da bowling, piume e almanacchi. Tempo di produzione: circa un mese. Per esempio Giustina, tipetto volubile, diventa Volandola: “Da volando, la parte più leggera della farina che si alza in aria durante la macinatura del grano. L’ho raffigurata con una bilancia in mano per soppesare gli umori e trovare un equilibrio dentro di sé”.
Nelle scuole allena i bambini ai neologismi con “il laboratorio delle parole imparavolate” (cioè che parlano molto): “Si gioca con i vocaboli come si fa con gli oggetti, smontandoli, spostandoli e ricombinandoli” spiega Sabrina. Il risultato è lo scopanuvoli, individuo alto con capelli ispidi e folti che pulisce il cielo, lo sbucciafatiche, chi in qualsiasi modo tenta di risparmiarsi delle fatiche, o il ventipiovolo, il vento che porta pioggia battente.
Sabrina non dà retta all’ oblomovista gorghi-profondo (da Oblomov, titolo e protagonista di un romanzo russo), una sua invenzione, al quale ha messo in bocca l’aforisma: “Comunque vada sarà un decesso”. Lei hai piedi per terra. “Non sono ricca, non sono neanche esigente, tiro avanti con dignità”. Di arte, cari politici, non si muore. Anzi si rinasce. Nel suo atelier ha messo delle piante, rigorosamente vere: “Ho bisogno di cose vive”. Come le parole.
Chiara Daina, Il Fatto Quotidiano 26/5/2014