Maurizio Molinari, La Stampa 26/5/2014, 26 maggio 2014
L’UOMO HA VINTO PERCHÉ SA IMMAGINARE CIÒ CHE NON SI VEDE
[Incontro con Yaval Noah Harari] –
Per esplorare il fenomeno Yuval siamo entrati nella sua casa di Mesilat Zion, un moshav immerso nel verde a 30 minuti di auto da Gerusalemme, dove vive con il compagno Itzik Yahav e tre cani, preparando le lezioni sul Medioevo per i suoi studenti dell’Università ebraica sul Monte Scopus. «È successo tutto quasi per caso - esordisce - perché Sapiens doveva essere un volume di corso per i miei studenti, ma appena arrivato in commercio si è trasformato in qualcosa capace di attrarre un pubblico più vasto». Il motivo è che si tratta di una «breve storia dell’umanità», dalla comparsa dell’uomo sulla Terra fino alla rivoluzione digitale, adoperando come chiave di lettura dei mutamenti intervenuti «la forza dell’immaginazione».
Harari la spiega così: «All’inizio l’Homo sapiens non era un vincente, quando si affacciò per la prima volta in Medio Oriente venne sconfitto e dovette tornare indietro in Africa, ma poi sviluppò la capacità di operare assieme, in gruppo, e prevalse velocemente sulle altre cinque specie umane esistenti». Disegnare graffiti nelle caverne, andare a caccia e muoversi assieme furono i primi indicatori di una «capacità di immaginarsi come collettività» che fece la differenza, diventando il primo esempio di una «qualità che distingue l’uomo dall’animale perché una scimmia capisce solo ciò che vede, come una banana o un leone, mentre un uomo riesce a immaginare il Paradiso o la felicità». Da qui una storia dell’umanità descritta attraverso le «creazioni immaginarie»: dalla fede alla moneta, dalla giustizia alla libertà, dai diritti umani a Google.
«Sono tutte cose che concretamente non esistono - dice Harari, corpo esile e mani continuamente in movimento -, perché nessuno ha mai visto Dio, la moneta è un pezzo di carta che non vale nulla, i diritti umani sono un concetto vago e Google è l’esatto opposto di un oggetto, non ha fisicità». Ma «ciò non toglie che quando gli esseri umani credono in questi concetti li trasformano in fatti reali», mentre «quando non ci credono restano singoli accidenti di percorso, portando magari qualcuno a essere ricoverato in manicomio». La dinamica della storia dunque è segnata dai momenti in cui gli esseri umani si ritrovano attorno a «creazioni che interpretano le necessità del momento, incarnano i bisogni collettivi e consentono all’umanità di crescere, svilupparsi, rafforzarsi». Oltre al fatto di essere «la conseguenza di interazioni tra esseri umani, animali e habitat».
L’evoluzionismo di Darwin per Harari è dunque «solo uno dei tasselli che spiegano le trasformazioni avvenute» e deve essere esteso alle «interazioni tra biologia ed esseri umani». Il ragionamento dello scrittore non è solo all’indietro nel tempo, perché lo rilancia anche in avanti, come chiave interpretativa del prossimo futuro: «Oggi siamo esseri umani assai diversi da quelli che esistevano 200 anni fa e tra 200 anni i nostri discendenti saranno altrettanto differenti da noi», perché «potrebbero essere dei super-esseri umani, grazie all’incrocio tra biologia e alta tecnologia, oppure degli esseri artificiali». È questa la scelta che «spetta alla nostra generazione»: usare la tecnologia «per perfezionare l’uomo» o «sostituirlo con i robot». «Dobbiamo decidere cosa diventare».
La velocità del pensiero dell’autore di Sapiens e la sua capacità di leggere trasversalmente ere storiche lontanissime spiegano l’attrazione che esercita sulle nuove generazioni di una nazione come Israele, che descrive «in bilico». «Israele è un miracolo - spiega -, perché da un lato è all’avanguardia nella stagione delle nuove tecnologie, mentre dall’altro è imprigionata in odii e contese dei secoli passati, evidenziati dall’irrisolto conflitto con i palestinesi». Ciò significa che «rischiamo di rimanere intrappolati nell’era passata mentre il mondo accelera in un’altra direzione» ovvero «Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina guidano la rivoluzione digitale verso le prossime tappe e noi siamo ancora immersi in un Medio Oriente ottocentesco dove ciò che avviene in Egitto o Siria appartiene a un’altra epoca».
Per evidenziare questa «discrepanza di ere» Harari sottolinea il caso dell’Iran: «Il governo di Teheran afferma di volere il nucleare per raggiungere sviluppo e modernità, ma il nucleare rappresentava tutto ciò negli Anni Quaranta, quando a realizzarlo furono gli americani seguiti dai sovietici, oggi chi vuole davvero investire sul futuro e diventare una superpotenza mette i soldi in ben altri progetti, penso alle biotecnologie capaci di allungare la vita». Da qui il riferimento alla rivoluzione industriale: «Quando iniziò fu la Gran Bretagna a guidare la svolta, seguita dagli Stati Uniti, la Cina rimase indietro e ha avuto bisogno di due secoli per recuperare quel ritardo», dunque «ora siamo in un momento simile, la rivoluzione digitale è iniziata e dobbiamo immaginare nuove realtà per non essere risucchiati dal passato».
Yaval Noah Harari insegna Storia medievale, commenta in tv la crisi ucraina, è lo scrittore più amato dai ventenni e il Museo d’Israele gli dedicherà una mostra ad personam: all’età di 38 anni Yuval Noah Harari deve la popolarità a Sapiens, un libro scritto quasi per caso che da tre anni è un bestseller e ora arriva in Italia per i tipi di Bompiani con il titolo Da animali a dèi.
Maurizio Molinari, La Stampa 26/5/2014