Federico Rampini, Affari&Finanaza – la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
FAR WEST
Il linguaggio corrente è un deposito di ideologie. Le parole che usiamo non sono mai neutrali, bensì veicoli di valori, visioni del mondo, priorità. Deregulation è una di queste parole. Da mettere al bando, per sempre. E’ un’impostura, la parola stessa. Non esiste, non è mai esistita la deregulation finanziaria. Una dimostrazione convincente viene da Philip Mirowski, in quello che considero uno dei migliori saggi sulla grande crisi del 2008: “Never Let a Serious Crisis Go Waste” (“non sprecare mai una seria crisi”). Mirowski fa un’operazione di decostruzione del linguaggio economico corrente, per smascherarvi il ruolo dell’ideologia neoliberale. La deregulation finanziaria, a cui anche i critici da sinistra sono soliti attribuire le perversioni della finanza tossica, è un falso. “E’ in realtà una riregulation che non vuole annunciarsi, non vuole confessare il proprio nome”. Siamo tutti caduti nell’inganno. Il periodo della grande riscossa neoliberista, che inizia negli anni Settanta ed esplode negli anni Novanta, lo abbiamo bollato come l’epoca della deregolamentazione, delle briglie sciolte, che ha consentito una smisurata crescita della finanza. Riforme come quella che sotto Bill Clinton abolì ogni separazione tra banche speculative e banche di raccolta del risparmio popolare, vanno sotto l’etichetta della “liberalizzazione”. Mirowski attira la nostra attenzione su una realtà che dovrebbe essere evidente. Chiunque lavori nella finanza ha sempre avuto a che fare con una montagna di leggi, regole, documenti formali da riempire, procedure legali, controlli. Non c’è mai stata un’opera di de-legificazione. La finanza si è sempre mossa dentro una giungla normativa. Quello che il liberalismo ha messo in piedi è stato un gigantesco cantiere di ri-regolazione, cioè ha riscritto le regole, sempre ad un livello di complessità enorme, ma in modo che fossero conformi agli interessi di potenti attori della finanza. (Un paio di esempi recenti, qui in America: Obama ha dovuto ammettere che è difficile incastrare i banchieri e mandarli in galera perché formalmente spesso si sono mossi nel rispetto delle leggi, pur complesse. E quando si è provato a tagliare i loro stipendi ci si è scontrati con robusti apparati di regole in difesa della “sacralità dei contratti”). I banchieri non si sono mai battuti per avere “meno” regole. Hanno ridisegnato le normative, non per semplificarle, ma perché fossero funzionali alle loro strategie.Perché è così importante cancellare dai nostri vocabolari la parola “deregulation”? Perché evoca un’intera rappresentazione, secondo cui esiste un libero mercato che è una sorta di stato naturale delle cose. Deregulation dunque significa avvicinarsi a quella situazione ottimale in cui le forze di mercato ci garantiscono la massima efficienza nell’allocazione delle risorse. Sul fronte opposto ci sono gli statalisti, i nemici dell’iniziativa privata, tutti coloro che cercano di ingabbiare la natura dentro la camicia di forza di lacci e lacciuoli, regole e controlli oppressivi. Ecco un esempio di ideologizzazione del linguaggio corrente. In realtà non esiste in natura un libero mercato. Il mercato è un’istituzione, disegnata dagli uomini. Le leggi che lo stabiliscono e lo regolano consacrano dei rapporti di forze. Oggi dunque la battaglia non è contro “l’eccessiva libertà del mercato”. Così come funziona oggi, il mercato finanziario è un coacervo di normative sulle quali la voce delle lobby finanziarie ha avuto un peso crescente dagli anni Settanta in poi. Sono loro, e gli economisti “organici” ai loro interessi, ad avere ri-regolato il sistema, e le enormi tecnocrazie e burocrazie deputate ai controlli e alla vigilanza.
........................................... Bill Clinton: quand’era presidente varò una sorta di deregulation finanziaria che si è rivelata un inganno.
Federico Rampini, Affari&Finanaza – la Repubblica 26/5/2014