Arturo Zampaglione, Affari&Finanaza – la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
ADIDAS-NIKE, IL DERBY MILIARDARIO DEL MUNDIAL
New York
«Sarà un duello tra Brasile e Germania», dicono gli esperti del Mondiale che parte il 12 giugno a San Paolo del Brasile con la partita tra i padroni di casa e la Croazia. Altri avvertono di non dimenticare la Spagna, l’Italia e tanto meno l’Argentina di Lionel Messi. Ma a dispetto di milioni di tifosi che stanno per arrivare a Rio de Janeiro e nelle altre città brasiliane da ogni angolo del pianeta, e a dispetto degli inni, delle bandiere nazionali e di orgogliosi pronostici di parte, il vero duello dei Mondiali 2014 sarà tra due potentati economici: Adidas e Nike. Le due multinazionali di abbigliamento e attrezzature sportive, infatti – la prima tedesca, l’altra americana – non hanno badato a spese per vincere la “coppa economica” del campionato: in termini di immagine pubblica, sponsorizzazioni e soprattutto di ricadute commerciali. E la Puma, l’altra tedesca, è pronta a giocare il suo ruolo di comprimario alla grandissima. Non lasciatevi ingannare dalle apparenze. La Adidas, che dal 1970 sponsorizza la Fifa, la Federazione internazionale presieduta da Joseph Blatter che da Zurigo governa il gioco del calcio, avrà sicuramente in Brasile un ruolo più visibile, non fosse altro perché suo sarà il pallone con cui si giocheranno Brasile-Croazia e le altre partite, mentre in tutti gli stadi, dal nuovo Maracanà di Rio de Janeiro al Beira-Rio di Porto Alegre o all’Estadio Nacional di Brasilia, saranno in bella mostra le tre strisce bianche del logo del gruppo. Ma al di là di questi traguardi simbolici, Mark Parker, 57 anni di cui 8 come chief executive della Nike, alita sul collo di Herbert Hainer, il suo omologo (e più o meno coetaneo) della casa tedesca. Entrata in ritardo nel business del calcio (nel 1994, cioè in coincidenza con i campionati del mondo negli Stati Uniti), la Nike sta recuperando velocemente il tempo perso. Tanto per cominciare sponsorizza più squadre dei Mondiali 2014 della Adidas: dieci squadre rispetto a nove, comprese le nazionali di Brasile, Inghilterra e Francia (il colosso tedesco ha invece la Germania, l’Argentina e la Spagna, mentre l’Italia di Cesare Prandelli e altre sette squadre sono con la Puma). Facendo poi leva sulle sua forza economica e sul mercato americano, Nike cresce a ritmi più veloci della Adidas nel settore specifico del calcio. Il paradosso è proprio questo: da un lato gli Stati Uniti sembrano quasi immuni dal virus del pallone, preferendo altri sport come il baseball, il basket o l’hockey; dall’altro il “soccer”, come viene chiamato, fa passi da gigante nelle nuove generazioni d’oltreatlantico, anche femminili. E visto il numero e il potere d’acquisto dei consumatori americani, gli Usa rappresentano il mercato più importante non solo per la Adidas, che ne trae il 15 per cento del fatturato totale del calcio, e per la Nike che è “di casa”. Secondo i calcoli del settimanale Bloomberg Businessweek, che ha appena dedicato il servizio di copertina alla sfida economica dei Mondiali, il calcio ha contribuito per 1,9 miliardi di dollari al fatturato 2013 della Nike, che è stato di 25 miliardi, pari al 17 per cento del mercato globale dell’abbigliamento ed equipaggiamento sportivo. Fondata nel 1964 da Phil Knight, un campione di atletica dell’università dell’Oregon, e dal suo allenatore Bill Bowerman, la Nike all’inizio si chiamava Brs e si occupava della distribuzione delle calzature sportive giapponesi Onitsuka Tiger, poi diventate Asics. L’azienda ha avuto una rapida espansione. Adesso, dal quartiere generale di Beaverton, nell’Oregon, Parker guida la numero uno del settore, con 48mila dipendenti, 65 miliardi di dollari di capitalizzazione di borsa e una ambizione segreta: superare la Adidas anche nel primo sport del mondo, il calcio, che ha 300 milioni di persone che lo giocano e più di un miliardo che lo guardano in televisione. Per il momento i tedeschi fatturano nel settore calcistico, secondo le stime più attendibili, 2,4 miliardi di dollari, rispetto a un fatturato complessivo di 20 miliardi e agli 1,9 miliardi della Nike. L’azienda di Herbet Hainer è dunque in testa nel calcio, pur rimanendo in seconda posizione a livello complessivo: ma il solo fatto che si ipotizzi la sfida Adidas-Nike è un segno di debolezza. Fino a poco fa, infatti, i tedeschi erano leader incontrasti, mentre adesso non lo sono più. La società fu fondata negli anni Venti da Adolf Dassler, detto Adi (di qui il nome Adi-das) a Herzogenaurach, nella Germania meridionale, dove è ancora la sede principale. Nel 1956 suo figlio Horst capì che poteva far indossare le sue scarpe ai campioni olimpici se le avesse semplicemente regalate. Fu l’inizio dell’era della sponsorizzazione sportiva: in cui la Adidas si rivelò migliore di ogni altra azienda, almeno nel settore del calcio e almeno fino ad ora. “Le nostre radici sono nel calcio”, ripete Markus Baumann, ex-portiere semiprofessionale e ora responsabile delle attività calcistiche del gruppo. I tedeschi hanno sempre sponsorizzato la loro nazionale di calcio dal 1954 in poi. Dal 1970 hanno anche sponsorizzato la Fifa (oltre alla Uefa) e il contratto stipulato l’anno scorso prevede che si continui così fino al 2030. Messe a punto nei laboratori di Herzo (l’abbreviazione usata dai dipendenti per indicare Herzogenaurach), dove esiste un robot sperimentale chiamato Newton che passa le giornate a camminare e dar calci, il modello di scarpe Adidas F50 è il più usato dai giocatori delle squadre di serie A di Italia, Gran Bretagna, Spagna e Germania. Ma da quando Phil Knight decise di andare alla conquista anche del mondo calcistico, le distanze tra Adidas e Nike si sono andate sempre più accorciando. Anche gli americani pagano gli atleti (tra cui Ronaldo) per indossare le loro scarpe, anche loro (ovviamente) pagano le squadre per indossare le magliette e anche loro pagano per usare il pallone con il caratteristico marchio nelle partite importanti. Risultato: le scarpe più usate dai campioni delle quattro serie A europee, dopo le F50 Adidas, sono tre modelli della Nike: la Mercurial, la HyperVenon e la CTR360. Certo, è una battaglia cara: un esperto del business dello sport, Peter Rohlmann, calcola che il mondo delle imprese spenderà 400 milioni di dollari solo per la sponsorizzazione delle squadre dei Mondiali. Ma il gioco vale la candela, fanno capire dalle due sponde dell’Atlantico Hainer e Parker: rappresentandosi entrambi alla sfida brasiliana di quest’estate che avrà sicuramente ripercussioni di lungo termine per i due gruppi e per lo stesso gioco del calcio. Il leggendario stadio Maracanà di Rio de Janeiro dove si giocherà la finale del Mondiale 2014 il 13 luglio prossimo.
Arturo Zampaglione, Affari&Finanaza – la Repubblica 26/5/2014