Maurizio Crosetti, la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
PALLEGGIO VOLANTE ED ESTERNO DESTRO IL MONDO CONOBBE IL BAMBINO PELÉ
[Svezia 1958] –
Edson, però a lui piace ancora farsi chiamare Edison, quel giorno diventò come una palla. Rotolò infatti dentro la rete, e lì rimase, piangendo. «Mio padre mi chiamò Edison in onore dell’inventore della lampadina! ». Ma più che una lampadina, Edson Arantes do Nascimento era la luce.
Il nome, una citazione. Il soprannome, una canzonatura. Perché quando aveva sei anni e faceva il lustrascarpe, l’idolo di Edson era il portiere Bilé, che però il bambino non sapeva pronunciare bene, e allora diceva “Pilè”. Per questo, tutti cominciarono a prenderlo in giro ripetendogli Pelé, Pelé.
Edson diventò una palla il 19 giugno 1958, Coppa Rimet in Svezia, quarto di finale tra Brasile e Galles. Partita collosa, strana, quasi niente di logico e troppa insolita fatica da parte dei giocolieri. Se i gallesi avessero avuto a disposizione anche lo juventino Charles, forse avrebbero messo nei guai il Brasile senza Vavà, infortunato. Il ct Feola, un bonaccione che le foto d’epoca mostrano in mutandoni ascellari alla Fantozzi, per creare una squadra finalmente padrona del mondo aveva selezionato 300 calciatori e li aveva fatti passare al vaglio di una severissima commissione medica: la minima imperfezione fisica o psichica avrebbe automaticamente escluso chiunque, fosse pure una divinità del calcio. I dottori, per dire, avevano bocciato Garrincha, giudicandolo troppo gracile e inaffidabile, debole di mente, quasi un mentecatto. «Ma se lo lascio a casa, il matto sono io!», rispose Feola, e portò “l’uccellino” in Svezia. Nei lunghi anni a seguire, e fino al ritiro di Garrincha, con lui in campo insieme a Pelé il Brasile non avrebbe perso neppure una volta.
C’erano appena 25 mila spettatori quel giorno a Göteborg, nello stadio Ullevi. Del ragazzino Pelé si sapeva che, con il Santos, aveva debuttato in amichevole a 15 anni, segnando, e che in nazionale aveva giocato per la prima volta a 16, segnando. Era il più giovane calciatore mai schierato in una fase finale di coppa del mondo: la sera di Brasile-Galles aveva 17 anni e 239 giorni. Le telecamere, apparse nel 1954 in Svizzera, lo seguirono al minuto 66: palla a Pelé poco più indietro del dischetto del rigore, stop di petto, palleggio volante di destro, un solo rimbalzo del pallone a terra e tiro di esterno destro a fil di palo: guardatevelo su YouTube. È il primo gol di Edson Arantes do Nascimento ai mondiali: decisivo, perché permetterà ai brasiliani di raggiungere i quarti di finale (batteranno 5-2 la Francia con tripletta di Pelé) e di arrivare alla finalissima contro la Svezia: ancora 5-2, stavolta Pelé ne segna solo un paio, il secondo e l’ultimo di testa, il primo con un gesto tecnico memorabile e sublime: pallonetto sopra l’avversario e destro al volo.
«Non ci sono parole per descrivere l’emozione della mia prima rete in nazionale, anche perché fu importantissima: ci spianò la strada verso la Coppa Rimet», ricorderà Edson. «Noi brasiliani, e intendo dire tutti, i giocatori come il pubblico, non ci eravamo ancora ripresi dalla sconfitta del 1950 contro l’Uruguay, il famoso Maracanazo: io ero solo un bambino, ma lo ricordavo benissimo. Avevamo paura che quella coppa non l’avremmo mai vinta. Dopo la vittoria contro il Galles ero talmente felice, che non dormii neppure un minuto».
Nelle fotografie e nei filmati dell’avventura svedese, Pelé dimostra ancora meno degli anni che ha. Feola gli ha già assegnato la maglia numero 10, anche se la stella brasiliana è José Altafini detto Mazzola, per la somiglianza con l’asso del Grande Torino morto a Superga nove anni prima. L’azione del gol contro i gallesi è rapidissima, poi Pelé prosegue la corsa e arriva dentro la porta, dove si accascia e comincia a piangere. Il grande Didi gli prende il volto tra le mani e prova a consolarlo. I fotografi si mettono sulla linea di porta e fanno brillare i flash: sanno, o forse sentono, che in quell’istante inizia una nuova era.
Il bambino che piange vincerà tre coppe del mondo, segnerà in nazionale altre 76 volte in 92 match, in totale saranno 1281 in 1363 partite, con 92 triplette. Giocherà, mostrando miracoli e donando gioia pura, per ventidue anni, chiudendo infine la sua storia sportiva nei Cosmos di New York. Nell’epoca del calcio a velocità normale, nessuno è stato più grande di lui. Per il salto ulteriore e una grandezza più completa, dunque inarrivabile, occorre attendere la postmodernità di Diego Maradona, altri tempi, altri ritmi, altri universi.
Maurizio Crosetti, la Repubblica 26/5/2014