Andrea Sorrentino, la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
STREGATI DA ANCELOTTI EUROPA AI SUOI PIEDI “CON ME VINCE IL CALCIO”
[Intervista a Carlo Ancelotti] –
LISBONA
«Mo’ vado al Bernabeu e canto». Il re di coppe è anche questo. Alle tre del pomeriggio ha aperto gli occhi da poco, perché il Real ha festeggiato fino alle 7 del mattino nella piazza della Cibeles, dopo il rientro da Lisbona con la “Orejona” in braccio. Ha dormito cullando il pensiero di essere diventato l’allenatore più vincente di sempre in Champions. Ha ancora la voce arrochita, ma già prepara la noche del Bernabeu dove il Real si celebrerà e mica pensa a un discorso al popolo, macché. «Sentirete che cantata, allo stadio. Farò “Volare” e qualche altro pezzo, se mi riesce». Può permetterselo: perché è sempre stato intonato e perché ormai Carlo Ancelotti è il re di Madrid. Ha cancellato l’ossessione della Decima e le perplessità di quell’impettito di Florentino Perez, che solo sabato notte si è convinto di aver fatto la scelta giusta, dopo mesi di dubbi. Ora Florentino è ai piedi di Carletto: gli verserà il bonus pattuito per la vittoria in Champions (1,4 milioni, oltre ai 7 annui di ingaggio) e gli comprerà un regalone sul mercato. Occhio: ad Ancelotti piace da sempre Vidal.
Senta, Carlo, stavolta se l’è vista brutta. Non ci fosse stato quel volo di Sergio Ramos al 93’ adesso chissà di cosa parleremmo.
«Eh ma nella vita e nel calcio ci vuole sempre un bel culo, no?».
Addirittura.
«Ma scusi, Napoleone come sceglieva i generali? Voleva quelli bravi o quelli fortunati?».
Quelli fortunati. Quindi la sua è solo fortuna?
«Un po’ scherzavo, un po’ no. Mi sento un uomo fortunato, ma non per come è andata la finale. E non dimenticate che la fortuna aiuta gli audaci, e noi di audacia ne abbiamo avuta parecchia».
Però avete regalato all’Atletico tutto il primo tempo. Cosa ha detto ai suoi nell’intervallo?
«Li ho guardati negli occhi: ‘Bene, adesso sarebbe il caso che iniziassimo a giocare a pallone, grazie’. Poi ho spiegato che dovevamo velocizzare il gioco, e come».
Sperava davvero nel pareggio, anche nel recupero quando tutto sembrava perduto?
«Ero convinto che non potesse finire così. Erano tutti chiusi in area. Non potevano vincere una finale in quel modo, dai».
In che modo?
«Lo dico? Lo dico. Senza fare manco un tiro in porta, su. Poi per carità, complimenti a Simeone: per la Liga e per aver meritato di arrivare in finale. Ma penso che a Lisbona, insieme a noi, abbia vinto il calcio».
Florentino Perez cosa le ha detto?
«Enhorabuena! Insomma mi ha fatto i complimenti. Gli ho ricordato che il giorno della mia presentazione al Bernabeu, lo scorso anno, lui mi aveva mostrato la sala dei trofei con tutte quelle coppe e io gli dissi: ‘Presidente, ne manca una’. Ho mantenuto la promessa. È stata una vittoria di tutto il madridismo. Abbiamo sentito fiducia da parte del club, dei tifosi, dell’ambiente».
Che differenza c’è tra questa Champions e le due col Milan?
«Forse nessuna. Le vittorie sono tutte uguali, le finali sono tutte uguali. Quando le vinci, ovvio».
Questa rimonta ha cancellato il suo ricordo più doloroso, la famosa sconfitta di Istanbul nel 2005?
«Confronti impossibili. Nulla si cancella. A Istanbul abbiamo perso, a Lisbona no».
Uno come lei, ormai nell’iperuranio dei tecnici, quando mai tornerà in Italia?
«La serie A fa molta fatica ultimamente, no? Ci sono parecchi problemi, vedo».
Al fischio finale i giocatori l’hanno rapita e l’hanno portata in trionfo, poi non finivano più di applaudirla.
«Visto che roba? Grande gruppo. Prendete Marcelo: mica era contento di essere partito dalla panchina, proprio per niente. Però quando è entrato è stato determinante».
Senta, Carlo, ma qual è il suo segreto per creare questa armonia nello spogliatoio?
«Io i giocatori li rispetto. Li tratto da uomini, non da bambini. Li ascolto, ci parlo, ci scherzo, li striglio se è il caso ma poi il rapporto torna sereno. Sono uomini, non soldatini».
Ecco perché durante la sua conferenza stampa altri giocatori sono entrati in sala e abbiamo visto Pepe e Ramos che la baciavano come un papà, o in campo Cristiano Ronaldo che la abbracciava forte…
«Eh sì, mi vogliono bene…».
Durante l’irruzione, i giocatori hanno intonato l’inno del Real, “Como no te voy a querer”, con Carlo che si è subito accodato al coro. Canterà anche quella, nella sua esibizione al Bernabeu. Placido Domingo, chi era costui?
Andrea Sorrentino, la Repubblica 26/5/2014