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 2014  maggio 26 Lunedì calendario

NUMERI, TEOREMI ED ENIGMI ECCO IL CODICE DEI SIMPSON


I Simpson sono un serial televisivo di animazione per adulti, che con i suoi venticinque anni e le sue quasi seicento puntate detiene il record di longevità in quella categoria di intrattenimento. Già nel 2000 la rivista Time, nel suo numero di fine secolo, lo definiva il miglior serial televisivo, e il programma ha fatto incetta di premi. E anche di spettatori, ovviamente, che negli Stati Uniti a milioni abbandonano la domenica sera le tre grandi reti nazionali per seguire le vicende della famiglia di Springfield: genitori (Homer e Marge), tre figli (Bart, Lisa e Margie), un cane e un gatto.
Nel mondo del piccolo schermo, infestato dal trash soprattutto in prima serata, che è appunto il momento in cui I Simpson vanno in onda, il serial si distingue per una certa dose di intelligenza e arguzia. E anche, udite udite, per vari riferimenti colti e culturali, oltre a sporadiche “ospitate” di personaggi che raramente si vedono nella tivù generalista: da Isaac Newton a Stephen Hawking. Per rendersi conto della popolarità della trasmissione, basta ricordare cosa mi disse dieci anni fa, in un’intervista per Repubblica, il premio Nobel per la chimica Dudley Herschbach: «Fino a qualche tempo fa la cosa che impressionava di più la gente con cui parlavo, molto più del premio Nobel, era che fossi stato visionato da giovane dalla squadra di football americano dei Los Angeles Ram. Ma poi ho fatto una cosa che impressiona ancora di più: ho doppiato un personaggio dei Simpson. Ho detto in tutto quattordici parole, pensi un po’. Anche se mi sono impegnato molto, e ho registrato circa venti versioni: allegra, accondiscendente, arrabbiata… Quando il programma è andato in onda, non sa quanti messaggi ho ricevuto! L’anno prima l’ospite era lo scrittore John Updike, che ha detto solo due parole, ma l’effetto è stato lo stesso. Altro che premio Nobel!» Il fatto che, dopo aver invitato uno scienziato di tal stazza nel programma, gli si facciano dire quattordici parole, e a un letterato due, dimostra che lo scopo principale dei Simpson non è certo l’intrattenimento culturale, neppure in puntate speciali. Ma lascia anche immaginare che, tra gli autori del programma, ci sia comunque un interesse per certi argomenti. E infatti, alcuni di loro hanno addirittura dottorati in matematica, e si divertono ogni tanto a lasciar cadere qua e là, a beneficio di coloro che possono raccoglierli, spunti di vario genere. Niente di paragonabile a ciò che succedeva nell’altro serial televisivo Numb3rs, dunque, in ciascuna puntata del quale i modelli matematici contribuivano in maniera essenziale alla soluzione del caso poliziesco, oltre che allo scarso successo tra il pubblico generalista. I Simpson riescono invece a rimanere a un livello sufficientemente basso per mantenere sufficientemente alta l’attenzione dello spettatore che non ne ha a sufficienza, ma i “riferimenti in codice” sulla matematica sono abbastanza numerosi da aver permesso a Simon Singh di scrivere un intero libro per enumerarli e spiegarli.
La formula segreta dei Simpson (Rizzoli, 2014) naviga dunque in acque perigliose, soprattutto per lo spettatore medio del programma. E cerca di ingraziarselo come potenziale lettore inserendo lungo tutto il libro una serie di barzellette, ovviamente di natura matematica. Molte, a onor del vero, più adatte a un oratorio che a un’aula di scuola, come quella in cui lo 0 dice all’8: «Bella cintura!».
A volte la matematica interviene nei Simpson in maniera indiretta. Nell’episodio Il colonnello Homer (1992) il cinema di Springfield si chiama Googolplex, che è il nome del numero 10 elevato a Googol, che è il nome del numero 10 elevato a 100, da cui ha preso il nome il motore di ricerca Google. Altre volte i riferimenti matematici dei Simpson vengono lasciati cadere con nonchalance, come nell’episodio Marge e Homer fanno un gioco di coppia (2006). Agli spettatori dello stadio di Springfield viene infatti chiesto di indovinare quanti sono, e si offrono loro sullo schermo gigante tre scelte di numeri: 8191, 8128 e 8208. Il primo è un numero primo di Mersenne, nel senso che si ottiene sottraendo 1 da una potenza di 2 (la tredicesima). Il secondo è un numero perfetto, nel senso che è uguale alla somma dei suoi divisori propri, nello stesso modo in cui 6 è la somma di 1, 2 e 3. E il terzo è un numero narcisista, perché è uguale alla somma delle sue cifre elevate al numero delle sue cifre (quattro). Essendo autore di un precedente e fortunatissimo libro su L’ultimo teorema di Fermat (Rizzoli, 1997), Singh dà il suo meglio quando spiega una formula che compare su una lavagna nell’episodio L’ultima tentazione di Homer (1993). Per chi l’avesse dimenticato, la storia del teorema di Fermat parte dall’osservazione che 9 più 16 fa 25: cioè, 3 al quadrato più 4 al quadrato fa 5 al quadrato. Fermat si domandò nel 1637 se ci fossero altre potenze, oltre ai quadrati, per cui la somma di due interi elevati a quella potenza facesse un intero elevato alla stessa potenza, e affermò di no. Ci aveva visto giusto, ma per dimostrarlo ci vollero trecentocinquant’anni, e un famoso teorema di Andrew Wiles del 1995. Ora, la formula dell’episodio citato dice semplicemente che la somma di 3987 alla dodici e di 4365 alla dodici fa 4472 alla dodici: dunque, va contro il teorema di Fermat, e dev’essere sbagliata. Ma se uno si prende la briga di metterla alla prova con una calcolatrice tascabile, che mostra al massimo dieci cifre, si accorge che invece è corretta! Il trucco sta nel fatto che i due addendi sono quasi uguali, e differiscono soltanto a partire dall’undicesima cifra. Gli autori dell’episodio devono dunque averci pensato un attimo, prima di riuscire a fare questo scherzo da preti matematico. Anzi, hanno addirittura scritto un programma di computer per trovare questo genere di anomalia.
I Simpson fanno dunque del loro meglio per stimolare, nei limiti del possibile, lo spettatore televisivo a non subire passivamente le storie, e a saper cogliere al volo gli spunti occasionali di varia natura che gli vengono offerti. Singh fa un ottimo lavoro nel cucire e organizzare organicamente questo materiale sparso, fornendo nel contempo il background per capirlo e apprezzarlo. E insieme essi mostrano come la televisione non debba essere necessariamente solo trash, benché purtroppo quasi sempre lo sia.

Piergiorgio Odifreddi, la Repubblica 26/5/2014