Riccardo Luna, la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
IL PRANZO È FINITO ARRIVA IL BEVERONE CHE SOSTITUIRÀ IL CIBO
Occhio a quello che bevete, perché rischiate di entrare in un film di fantascienza. Si chiamava “Soylent Green” ed uscì nelle sale nel 1973. Parlava di un futuro oscuro e drammatico, con una terra devastata dall’inquinamento e dalla sovrappopolazione. Bene, quel futuro sembra arrivato ma, se così fosse, è in anticipo di otto anni. Il film, diretto da Richard Fleischer e con Charlton Eston fra i protagonisti, è ambientato nel 2022. È allora che gli abitanti del pianeta — a corto di cibo — si alimentano solo di una misteriosa barretta di cui non si conosce la composizione: il Soylent Green. Bene, il Soylent non è una barretta: è un beverone, un frullato, chiamatelo come volete. Ma esiste: da qualche giorno lo potete ordinare via Internet. Il kit minimo, da ventuno pasti, costa 85 dollari compreso il misurino.
Quattro dollari a pasto e ingurgitate tutto quello di cui avete bisogno per sentirvi da dio, è la promessa. E in America molti già parlano della “fine del cibo”.
Ora magari tutto ciò sarà una esagerazione, visto che in commercio da anni ci sono altri beveroni più o meno miracolosi. Sicuramente la scelta di chiamare questa pozione “Soylent” è stata una gran trovata di marketing, visto il precedente di un film così popolare che persino in un episodio dei Simpson si vede Homer che offre gallette verdi di Soylent. Ma quello che colpisce di tutta questa vicenda è la storia, la formidabile, rocambolesca storia del suo inventore. Si chiama Rob Rhinehart, ha 25 anni, ha studiato ingegneria elettronica in un’università rinomata come Georgia Tech e nel dicembre del 2012 era un giovane disperato o quasi. Abitava a San Francisco con due compagni di avventura: erano riusciti a farsi dare 170mila dollari dall’acceleratore Y Combinator per realizzare un non meglio precisato dispositivo per telefonini, ma quando avevano già bruciato più della metà dell’investimento ricevuto, si accorsero che erano sulla strada sbagliata. Invece di mollare tutto decisero di usare i soldi rimanenti per inventarsi qualcos’altro. Ma dovevano risparmiare. Ed è in questo contesto che Rhinehart si mise a pensare ad un modo per risparmiare drasticamente sul cibo. Molto drasticamente.
Prima aveva provato a nutrirsi solo di cheeseburger McDonald’s e simili, proprio come il protagonista del film SuperSizeMe, ma dopo una settimana, racconta, si sentiva morire. Allora da ingegnere ha scomposto la questione cibo nei suoi elementi essenziali: «Abbiamo bisogno di aminoacidi e lipidi non di latte; di carboidrati e non di pane». E così via. Già da piccolo, dirà in una delle innumerevoli interviste rilasciate in questi giorni, aveva questionato con la mamma che gli portava in tavola dell’insalata: «Mangiamo come i primitivi, foglie che crescono sugli alberi, non possiamo fare di meglio?».
Torniamo nell’appartamento di San Francisco. Il giovane ingegnere si mette a studiare quello che può sulla nutrizione, butta giù una formuletta, ordina il tutto in polvere, lo mette in un frullatore e ne viene fuori un beverone beige con un sapore non male, pare: «Crema pasticcera non zuccherata». Ma la parte interessante è un’altra: Rob dopo averlo bevuto si sentiva da dio. Così scrive — esultando — sul suo blog dopo qualche settimana in cui è vissuto solo a Soylent. «Ho risparmiato tempo e denaro » era il senso del messaggio. Invece di spendere 400 dollari al mese per il cibo, ne aveva spesi 70 e soprattutto «la mia pelle sta meglio, i miei denti sono più bianchi e la forfora è sparita».
Sembra il testo di uno spot della Procter & Gamble ma ben presto quel post diventa virale: l’idea che qualcuno possa aver “hackerato” il cibo entusiasma molti. La formula del Soylent viene pubblicata in rete, come se fosse un software opensource, e in tanti collaborano per migliorarla. Dopo tre mesi Rhinehart pensa di essere pronto al lancio sul mercato: si rivolge ad un sito di crowdfunding per le donazioni, punta a centomila dollari e in due ore raggiunge il traguardo!
A quel punto arrivano anche i soldi veri: non solo quelli di Y Combinator, che lo aveva finanziato agli inizi, ma quelli targati Andreessen Horowitz, i venture capitalist che stanno dietro tutti i grandi successi della Silicon Valley. In tutto, tre milioni di dollari.
E adesso? Adesso i primi kit di Soylent sono arrivati a destinazione, le reazioni in rete sono incoraggianti (a parte qualcuno che su Twitter racconta di aver avuto complicazioni gastrointestinali) e molti guru del giornalismo, dal New Yorker all’Atlantic, hanno gridato alla fine del cibo. Letteralmente. Scompariranno i fruttivendoli, i panifici e i macellai? Mai più ristoranti? Rhinehart smentisce queste semplificazioni. Secondo lui il Soylent non è affatto la fine del cibo, ma la fine del cibo cattivo, il junk food mangiato di corsa, quando non abbiamo tempo. Ed è anche uno strumento a basso costo ed impatto sicuro per aiutare chi ha fame. Se non si rivelerà una bufala, rischia di cambiare il mondo.
Riccardo Luna, la Repubblica 26/5/2014