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 2014  maggio 26 Lunedì calendario

IL RE DEL CIOCCOLATO DIVENTA PRESIDENTE TYMOSHENKO SCONFITTA


DONETSK.
Parla subito di pace il re del cioccolato dal suo curioso ufficio a forma di bomboniera. Gli exit polls, e via via nella notte anche i risultati degli scrutini, incoronano al primo turno Petro Poroshenko, 48 anni, primo presidente della tormentata Ucraina del dopo rivoluzione con oltre il 55 percento dei voti; confermano il clamoroso crollo di consensi della pasionaria Yiulia Tymoshenko inchiodata sotto a un umiliante 13 percento; scongiurano la temuta avanzata dei gruppi paramilitari di estrema destra che tuttora continuano a presidiare il centro di Kiev ma che hanno raccolto insieme meno del due per cento; e premiano l’ex campione del mondo dei pesi massimi Vitalij Klitckho, amato dalle folle, con la poltrona di sindaco della capitale.
Poroshenko che deve la sua fortuna all’impero dei dolciumi Roschen, ma che non può gustarseli a causa del diabete, sa che deve agire subito. Non aspetta i risultati ufficiali né tantomeno la dichiarazione di resa dei suoi rivali: «Voglio mettere fine alla guerra». E pensa subito a Putin e alla Russia: «Senza Mosca non è possibile garantire la sicurezza del nostro Paese». Parole al miele per il Cremlino che aveva già gradito giorni fa la sua secca frenata sulla adesione alla Nato: «Il Paese non è pronto e la questione non si pone».
Certo, come prevedono i punti di una trattativa segreta che va avanti da settimane, Putin non potrà vincerle tutte. Poroshenko annuncia un’accelerazione sull’integrazione europea, e soprattutto non mette a tacere la questione Crimea: «Istituiremo un ministero per il recupero della penisola annessa dopo un referendum che riteniamo illegittimo». Ma sembra un più gioco delle parti che una rivendicazione decisa.
Quanto a legittimità, Poroshenko sa che anche la sua elezione di ieri rischia forti critiche. Nessuno nella città di Donetsk, una delle più grandi del Paese, ha potuto votare in seggi elettorali chiusi presidiati da milizie armate. Più o meno la stessa cosa è avvenuta nella regione di Lugansk, e in tante cittadine e villaggi dell’Ucraina Orientale; in quell’aria controllata dai ribelli russi che proprio sabato si sono fusi nell’autoproclamato stato di Novorossjia (Nuova Russia). Anche per questo Poroshenko annuncia che il suo primo viaggio sarà proprio in questa parte dell’Ucraina, nel bacino carbonifero del Donbass dove origini e cultura della maggioranza delle popolazione sono fieramente legate alla Russia.
Quasi in tempo reale, a conferma di un risultato atteso da tempo, i leader russi di Ucraina hanno risposto con i previsti toni duri ma, a guardar bene, aperti al dialogo: «Venga pure ma porti delle risposte alle nostre rivendicazioni». Spiragli di dialogo nel caos delle solite voci che vogliono invece colonne di tank in marcia verso Donetsk o le sparatorie tra opposti schieramenti che si registrano ogni sera: anche ieri tre morti e decine di feriti.
E mentre Poroshenko regala un’ultima chicca («Venderò i miei asset per evitare ogni conflitto di interessi») l’amarezza regna nel campo di Yiulia Tymoshenko che adesso teme di veder ridotta nettamente la sua sfera di influenza. L’elezione di ieri ha mandato a casa il suo stretto collaboratore Oleksandr Turcinov, finora presidente a interim. Ma anche il suo vice, Arsenj Jatsenjuk, attualmente premier, rischia di saltare in un possibile rimpasto ordinato dal nuovo Presidente. Per Yiulia la Tigre che aveva conquistato i cuori della Majdan, arrivando direttamente dal carcere sul palco nel giorno della caduta del regime, la sconfitta è gravissima. E non basta, come fa qualcuno del suo staff, spiegarla con la trovata poco scaramantica di sostituire la gloriosa treccia con una “cofana” anni Cinquanta. Ha pagato forse la sua posizione che strizzava l’occhio alle destre estreme e l’ha resa improponibile per un negoziato con Putin. Archiviati gli umori di piazza, gli ucraini hanno preferito puntare su un uomo contraddittorio e con poco carisma ma che sembra più adatto alla mediazione. Un “cioccolataio” diabetico che ha militato in tutti i partiti e che ha fatto il ministro in governi di tendenze opposte. Che suscita poche passioni ma, forse, qualche speranza.

Nicola Lombardozzi, la Repubblica 26/5/2014