Andrea Bonanni, la Repubblica 26/5/2014, 26 maggio 2014
JUNCKER O SCHULZ? LA SFIDA È APERTA CON L’INCOGNITA DI UN OUTSIDER
BRUXELLES
I conservatori del Ppe perdono voti ma restano il primo partito del Parlamento europeo e reclamano la poltrona di presidente della Commissione per il loro candidato Jean Claude Juncker. I socialisti e democratici tengono sostanzialmente la posizione, in particolare grazie ai voti italiani, ma non riescono a fare il sorpasso e rimangono il secondo partito. Però il loro candidato, Martin Schulz, ritiene di poter comunque formare una maggioranza parlamentare che gli garantirebbe la nomina a presidente della Commissione. In questo quadro di relativa incertezza, si apre ora un complesso negoziato tra il Parlamento e i capi di governo per la nomina dei vertici dell’Unione.
La partita è doppia. Da una parte i capi di governo, cui spetta il compito di nominare il presidente della Commissione «tenendo conto» dei risultati elettorali, dovranno decidere se piegarsi all’imposizione del Parlamento, che vuole arrogarsi il diritto di indicare il candidato a quella poltrona. I leader più euroscettici, come l’inglese Cameron e l’ungherese Orbàn, non vogliono accettare le nuove regole che farebbero fare all’Europa un balzo verso un modello più federale. Anche la Merkel sarebbe riluttante a rinunciare al privilegio di decidere il nome del presidente della Commissione. Già domani i ventotto capi di governo si ritroveranno a Bruxelles per una cena informale. E in quella sede si potrà capire quanto forte sia la resistenza ad accettare le richieste del Parlamento. D’altra parte se i capi di governo dovessero tentare un colpo di mano nominando una personalità diversa dai candidati che si sono presentati alle elezioni, rischierebbero di vedersi rifiutare la fiducia da parte del Parlamento. E si aprirebbe un braccio di ferro tra istituzioni.
L’altra partita che si apre adesso è invece tra i leader delle formazioni politiche europee per indicare congiuntamente un candidato e imporlo ai governi. Ieri Jean-Claude Juncker, sull’onda delle prime proiezioni che davano al Ppe un vantaggio di una trentina di seggi sui socialisti e democratici, ha rivendicato per sé il ruolo di presidente della Commissione.
Si è detto pronto a formare «una coalizione più ampia possibile», con socialisti, liberali e verdi ma escludendo l’estrema destra e i partiti anti-europei. E tuttavia ha detto di non avere alcuna intenzione «di mettersi in ginocchio» davanti ai socialisti.
Ma Juncker non è solo a sperare di poter formare una maggioranza. Anche Schulz, e persino il candidato liberale, Guy Verhofstadt, si sono dichiarati certi di poter formare una maggioranza in seno al Parlamento europeo che riunisca popolari, socialisti, liberali e verdi. Domani si terrà a Bruxelles una riunione dei capigruppo del Parlamento uscente (quello nuovo entrerà in funzione solo a luglio). E quella sarà l’occasione per decidere con quali criteri procedere nelle consultazioni. In base agli accordi preelettorali, il primo incarico esplorativo per formare la maggioranza dovrebbe toccare al Ppe.
A questo punto, se sarà evitata la contrapposizione frontale tra Parlamento e Consiglio europeo, è ragionevole immaginare che si cerchi di arrivare ad una soluzione in grado di soddisfare comunque le esigenze dei due maggiori partiti e che si apra tra il Parlamento e i governi un negoziato che porti ad una designazione del presidente della Commissione da parte degli eurodeputati compatibile con l’esigenza di un equilibrio globale. I capi di governo dovranno infatti nominare, oltre al presidente della Commissione, anche il presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue. Ed è ovvio che il pacchetto di nomine deve riflettere sia gli equilibri politici sia gli equilibri geografici dell’Unione.
In altri termini, se il Parlamento dovesse insistere per la nomina di Juncker, i capi di governo dovrebbero verosimilmente indicare un socialista per il posto di presidente del Consiglio europeo, e magari un liberale per quella di Alto Rappresentante per la politica estera. Se invece il Parlamento si mettesse d’accordo per la nomina di Schulz alla testa della Commissione, allora per Juncker si aprirebbe la poltrona di presidente del Consiglio europeo. Ma i giochi, al momento, restano ancora tutti da fare.
Andrea Bonanni, la Repubblica 26/5/2014