Filippo Maria Ricci, La Gazzetta dello Sport 25/5/2014, 25 maggio 2014
LE SETTE VITE DEL GATTO ANCELOTTI
In Spagna al gatto danno le proverbiali 7 vite. Non sanno che un felino italiano è anche più longevo. E, soprattutto, non sanno che Carlo Ancelotti ha una pellaccia. La stessa pellaccia che gli ha permesso di sopravvivere con personaggi come Tanzi, Agnelli, Berlusconi Abramovich, Al Khelaifi e adesso Florentino Perez.
Doppio record Nel cielo di Lisbona, Carlo ha alzato la sua quinta Coppa Campioni, terza da allenatore. Cosa che porta due record eguagliati: solo lo spagnolo Miguel Muñoz aveva vinto 5 coppe dalle grandi orecchie tra campo e panchina, sempre col Madrid, solo l’inglese Bob Paisley aveva vinto tre Coppe Campioni come allenatore, sulla panchina del Liverpool. Ora con loro c’è anche Ancelotti. Unico italiano rimasto in questa Champions già a marzo, Carlo sventola la bandiera del nostro calcio depresso. E si rivendica. Prima della finale erano circolati persino i nomi dei suoi sostituti: Michel, Benitez, Löw. Da contattare in caso di sconfitta. E invece no.
Il gatto In primavera Ancelotti ha rimediato un altro soprannome dal regno animale. Decisamente meno offensivo del maiale di epoca juventina, però rivelatore. I dirigenti del Madrid, i più stretti collaboratori di Florentino Perez hanno cominciato a chiamarlo «el gato». Perché Ancelotti sembrava sempre in fin di vita, pareva arrivare con l’acqua alla gola a partite decisive, costretto a una serie di ultime spiagge dall’irascibilità e dall’impazienza del presidente Perez. L’andata con il Borussia Dortmund dopo le sconfitte con Barcellona e Siviglia, la finale di Copa del Rey dopo il crollo di Dortmund, il ritorno con il Bayern Monaco considerato dai madridisti pessimisticamente superiore in tutto e per tutto al Madrid. Però Carlo riusciva sempre a salvarsi, a sopravvivere. Come un gatto appunto. La storia è stata raccontata da Diego Torres sul Pais, e pare abbia irritato parecchio la cupola della Casa Blanca.
Feeling sparito Ieri il Gatto Carlo si è giocato un’altra vita, salvato dal gol di Sergio Ramos nel recupero da un destino che sembrava segnato. Florentino, seduto vicino al Primo Ministro spagnolo (e madridista) Mariano Rajoy, ha festeggiato con gusto e foga. Fin lì i suoi pensieri erano presumibilmente monodirezionali: con Ancelotti che pure aveva inseguito a lungo e in varie tappe e poi era andato a prendere a Parigi nel febbraio 2013, il feeling era sparito presto. Perché Carlo aveva dimostrato idee chiare, personalità e una testa non prona a piegarsi a imposizioni tattiche presidenziali più o meno discutibili. Florentino prima voleva che giocassero Isco e Illarramendi, poi resosi conto che non erano all’altezza, ha iniziato a battere su Casemiro. Carlo è andato avanti per la sua strada, irritato da tanta mancanza di considerazione e rispetto per il suo passato. Ha ingoiato i sospetti e l’ironia dei dirigenti ma si è guadagnato il grande rispetto dei suoi giocatori, testimoniato dal fatto che tutto il gruppo si è fiondato in sala stampa durante la conferenza post-trionfo per tributargli un omaggio in mondovisione. Fino a ieri sera Florentino Perez, che avevamo sentito tante volte definire Mourinho «Il miglior allenatore del mondo» non aveva mai speso un solo elogio pubblico per il suo allenatore. Proprio non sapeva che il Gatto in Italia ha nove vite.