Nicola Porro, Il Giornale 26/5/2014, 26 maggio 2014
QUEL TRAPPOLONE CONTRO ROBLEDO
Quella che stiamo per raccontarvi è forse la storia più incredibile nello scontro che sta interessando la Procura di Milano. Una roba per addetti ai lavori, potrà pensare qualcuno. Manco per niente. Qua si parla di trappoloni, pm, giudici, servizi segreti, fascicoli che si perdono, denunce che non arrivano a destinazione e donne misteriose.
È inutile fare la cronistoria minuziosa. Basti sapere che il procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, e il suo procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, sono ai ferri corti per la gestione di alcuni fascicoli. Il primo ha fatto un esposto al Csm contro Bruti e la sua gestione.
Robledo sarebbe, inoltre, stato vittima di una trappola che, se certificata, renderebbe il palazzone di Milano un covo di vipere. Secondo un fascicolo, che ora è al Csm, l’aggiunto sarebbe stato contattato per ben tre volte da un maresciallo della polizia giudiziaria, presente nel medesimo palazzo, che gli avrebbe lanciato un paio di esche. A leggere le carte, vere trappole. Sulle quali gli uffci della Procura sarebbero dovuti intervenire da tempo e invece niente. Vediamo di che si tratta.
La prima tra la fine del 2011 e il 2012. Il maresciallo della guardia di finanza Davide D’Agostino ( oggi ai Reati informatici della Procura) si avvicina a Robledo e gli confida che un ex ufficiale, sempre della Gdf, starebbe parlando ad un Pm di irregolarità commesse in un’indagine da Robledo stesso. E che una persona amica, e fuori dagli uffici, avrebbe potuto fornire maggiori dettagli. L’aggiunto rifiuta ogni contatto. È un magistrato e le indagini si fanno alla luce del sole, non con informazioni al di fuori delle sedi competenti. Soprattutto in potenziale conflitto di interessi. Insomma Robledo non ci casca e la cosa muore lì.
Passa qualche settimana e lo stesso maresciallo si fa sotto di nuovo. Questa volta «una persona all’interno della Telecom» avrebbe potuto fornire «ulteriori informazioni riservate su Tronchetti Provera». Ancora una volta lo scambio di informazioni sarebbe avvenuto in modo informale e al di fuori dell’ufficio. Robledo rifiuta.
Terzo abboccamento. Il maresciallo D’Agostino dice che una sua fonte sa di partite di golf a Monticello durante le quali Robledo avrebbe rivelato al suo compagno di gioco (amico del Cavaliere) segreti importanti relativi alle sue indagini proprio su Berlusconi. Robledo non fa fatica a smentire: non gioca a golf, non è mai stato a Monticello, non conosce un eventuale compagno di uno sport che non pratica. Ma chi è la fonte del maresciallo D’Agostino? Si tratta di Maria Lucia Eufrasia Vicario (che in effetti Robledo vide velocemente ad una cerimonia pubblica negli uffici dei carabinieri a Milano). Quella che il maresciallo D’Agostino definisce «alla fascia esterna dei servizi di informazione ». La signora con il tempo è parsa più una millantatrice. In un crescendo di balle si sarebbe spacciata nipote del Presidente Napolitano, avrebbe frequentato mezzo mondo politico lombardo (a partire dal presidente Formigoni) e sarebbe riuscita, con questi mezzi e finte relazioni, a farsi prestare un milione di euro, grazie alle intercessioni personali di Giovanni Bazoli.
Vabbè. Tuta roba che c’entra poco con la nostra storia. O meglio racconta il sottobosco di contatti, relazioni e pillole avvelenate che circolano per il palazzo della giustizia di Milano.
Ma qui inizia il bello. Robledo è convinto di aver chiuso la partita, riguardo al golf. Senonchè viene a sapere (in Procura le voci girano) che nel fascicolo dell’inchiesta San Raffaele sarebbe comparsa la storia di Monticello. Precisamente in una relazione di servizio allegata all’inchiesta. Una volta pubblicata e verosimilmente finita sui giornali sarebbe (e lo diciamo sapendo bene di cosa parliamo) partita la girandola di sputtanamenti mediatici: il giudice che gioca a golf. Il giudice che spiffera tutto al Cav tra un green e l’altro. Il punto è che era tutto falso. E Robledo lo aveva detto.Eppure in quel fascicolo non c’è traccia della smentita del giudice. Che, immaginiamo, come una furia si presenta da Bruti e chiede conto della situazione. Robledo viene così a sapere ufficialmente che la relazione di servizio non solo non contiene la sua versione, ma che per di più non viene archiviata.
Diventa, quindi, naturale per Robledo far scoppiare il caso. Prima chiede che venga ascoltata la signora del golf. Ma non ottiene nulla. E poi si rivolge formalmente al Procuratore generale (Minale) per valutare i profili disciplinari della vicenda. In questo documento Robledo scrive (12 novembre 2012): «Ritengo che le dichiarazioni rese dalla fonte (la signora Vicario di cui abbiamo parlato ndr) al pubblico ufficiale D’Agostino configurino a mio carico un’ipotesi di reato, poiché il comportamento che mi viene attribuito configura la fattispecie di rivelazione di segreti d’ufficio».
Ve la facciamo breve, Robledo non ci sta. O il maresciallo dice il vero e allora si sarebbe dovuto aprire un procedimento contro il giudice infedele, oppure dice cose false e diffamatorie e allora il giudice Robledo si ritiene persona offesa da un pubblico ufficiale. E come tale Robledo chiede esplicitamente, questa volta al suo capo Bruti, di trasmettere il fascicolo al tribunale di Brescia che ha competenza per questi affari.
L’ultimo atto di questa intricata vicenda è dell’8 aprile 2014. Robledo chiede a Bruti a che punto sia la sua denuncia. Il pm ha infatti scoperto che a Brescia non è arrivato alcun fascicolo. E che al 31 marzo del 2014 anche presso la Cancelleria del tribunale di Milano non c’è traccia, nonostante la sua lettera sia della fine del 2012.
Insomma il Csm può tollerare che all’interno della procura più importante d’Italia ci sia questo gran casino. Perché la denuncia di Robledo non è ancora stata trasmessa a Brescia? Tanti interrogativi che meriterebbero una risposta. Ma veloce.