Andrea Andrei, Il Messaggero 26/5/2014, 26 maggio 2014
VIDEOGIOCO VIRTUALE MA L’INCUBO È REALE
L’EMERGENZA
Immaginate di svegliarvi la mattina, dare un’occhiata al vostro pc, mettere un “like” su Facebook sotto un video simpatico. Poi di uscire di casa e di aprire la vostra auto con il telecomando e magari, prima di entrare in ufficio, di prelevare dei soldi allo sportello del bancomat. Azioni quotidiane alle quali neanche si fa più caso, ma che possono nascondere insidie serissime. Perché mentre premevate sul “pollice” del social network un malware potrebbe essersi impossessato del vostro computer; quando avete aperto l’automobile, qualcuno da pochi metri con un semplice smartphone potrebbe aver intercettato il codice del vostro telecomando e quindi essere in grado di aprire la vostra macchina; infine, nel prelevare del denaro, inconsapevolmente potreste aver consegnato i dati della vostra carta a degli hacker che avevano precedentemente manomesso lo sportello.
E non è tutto. Immaginate per un attimo se quegli stessi hacker privi di scrupoli avessero modo, sempre tramite un cellulare, di controllare un’intera città, dall’illuminazione ai semafori, passando dalle telecamere di sorveglianza e dai sistemi di sicurezza di case, banche e negozi. Sembrerebbe un film di fantascienza, o forse sarebbe meglio dire un horror. Per adesso per fortuna è solo un videogioco, che si chiama “Watchdogs”. Sviluppato da Ubisoft Montreal e molto atteso dagli appassionati del mondo videoludico, è stato presentato a Milano (uscirà sul mercato domani per tutte le piattaforme di gioco tranne Wii U, la cui versione sarà presentata prossimamente).
UN INCUBO VIRTUALE
Il videogame narra le vicende di Aiden Pearce, hacker professionista che, in cerca di vendetta, decide di utilizzare contro i nemici la sua arma più temibile: uno smartphone. Tramite il cellulare Aiden riesce a comandare CTOS, il sistema informatico che gestisce l’intera città di Chicago, uno dei luoghi più informatizzati e interconnessi degli Usa. Non solo, perché CTOS è anche in grado di tracciare un profilo di ogni cittadino in maniera talmente dettagliata e approfondita da prevedere anche quando quest’ultimo sta per commettere un crimine. Watchdogs ci mostra, per la prima volta in un videogioco, cosa potrebbe accadere se qualcuno riuscisse a impossessarsi degli strumenti che dovrebbero difenderci, rivoltandoceli contro. Un po’ come la vendetta dei robot tante volte immaginata nei fantasy.
Nella realtà di oggi siamo già costretti a fare i conti con una minaccia particolarmente preoccupante, perché venuta proprio da chi dovrebbe proteggerci: le istituzioni. Il pensiero va naturalmente allo scandalo del Prism, il programma di spionaggio internazionale della National Security Agency americana.
LA PRIVACY PERDUTA
Dobbiamo perciò rassegnarci al fatto di essere costantemente spiati, di non avere più un diritto alla privacy né di sentirci al sicuro? Dino Pedreschi, docente presso il dipartimento d’Informatica dell’Università di Pisa, è ottimista: «La raccolta di dati su larga scala può essere utilizzata anche in maniera virtuosa. Perché i dati possono essere raccolti anche in forma anonima, e possono essere utili a disegnare delle tendenze». Un esempio: tracciando i segnali gps delle automobili, senza che questi vengano associati all’identità degli automobilisti, è possibile studiare come si muovono le persone in concomitanza con determinati eventi, e quindi studiare delle soluzioni per un eventuale piano di evacuazione. «C’è una mentalità spionistica», osserva Pedreschi, «cioè: se si può spiare, perché non farlo? Ma così si vìola una libertà irrinunciabile, sancita dalla Costituzione. Io credo che questa “sbornia tecnocratica” finirà e il diritto alla privacy verrà rispettato». Il passaggio al lato oscuro, quello di Watchdogs, per il professore è infatti potenzialmente vicino, ma evitabile: «Nel territorio digitale dobbiamo accettare il rischio di essere preda dei criminali, così come per strada possiamo essere aggrediti o derubati. Bisogna sviluppare una tecnologia che ci permetta di conoscere questo mondo e di accettarne i rischi, senza doverci fidare di un deus ex machina. La tecnologia deve essere decentralizzata, costruita intorno all’uomo». La rivolta dei robot, insomma, può aspettare.