Alberto Costa, Corriere della Sera 26/5/2014, 26 maggio 2014
I SEGRETI DI REAL ANCELOTTI BARZELLETTE, CANZONI E CULATELLO
C’è chi è convinto di essere lo Special One (Mou) e chi addirittura The Only One (l’Unico) ma in questo caso sorvoliamo sul nome e sul cognome. Un solo indizio: allena, non si sa fino a quando, una squadra italiana di serie A. E poi c’è chi al dialogo sui massimi sistemi applicato al calcio preferisce raccontare quella del tizio che, osservando minacciosi nuvoloni sulla sua testa, si rivolge a un venditore di ombrelli: «Scusi, quanto costa un ombrello?». «Dieci euro». «E con meno che cosa posso comperare?». «La pioggia...». A dispetto delle cinque Coppe dei campioni conquistate, l’ultima l’altra notte a Lisbona alla faccia dei dirimpettai dell’Atletico, Carlo Ancelotti continua a privilegiare una buona barzelletta ai deliri di onnipotenza che affliggono troppi suoi colleghi. «Divertente anche quella del reggiano che deve andare a Londra e non conosce una parola di inglese. Gli amici lo rincuorano e gli dicono di stare sereno, che in fondo l’inglese è molto simile al dialetto. Arrivato a Londra il tizio sale su un taxi e incomincia a colloquiare in dialetto reggiano con il taxista, il quale gli risponde anche lui in dialetto. I due scoprono così di essere nati entrambi a Scandiano, provincia di Reggio Emilia. Arrivato a destinazione il cliente paga e poi, salutando il taxista, si congeda così: non capisco perché, se siamo dello stesso paese, dobbiamo parlare in inglese...». Il senso dell’umorismo di Carletto non conosce cedimenti, anche se la lunga notte di Lisbona si è conclusa a Madrid alle 7 del mattino di ieri.
La faccia nascosta del Signore delle Coppe, uno che ha lavorato con tutta la crema del calcio mondiale (da Sheva a Cristiano Ronaldo, da Ibra a Del Piero), è rimasta la stessa di quando tirava i primi calci con la maglia del Parma. Ancelotti ama infatti il culatello quasi più del pallone e, oggi come ieri, si affida alle stesse, immutabili pillole di vita: 1) Fare l’allenatore di calcio è la cosa più bella del mondo, peccato che ci siano le partite («Lo ripeteva Liedholm: trovo che sia una massima sempre attuale»); 2) Comunque vada sarà un successo («È un invito a godersi la vita, di cui il calcio è soltanto una piccola parte»); 3) Non c’è notte così buia che impedisca al sole di risorgere («Questa va bene per tutte le occasioni e ogni tanto, nei momenti di difficoltà, la ripeto ai miei giocatori»).
Carletto, 55 anni il 10 giugno, resta un ragazzo semplice che non ama i viaggi («Giro già troppo per il mio lavoro»), apprezza un buon film («L’ultimo è stato “La grande bellezza” con Toni Servillo: ottimo») e, soprattutto, non avesse sfondato nel calcio, avrebbe tentato la carriera di cantante. Con il microfono se la cava alla grande e il suo cavallo di battaglia era (e resta) «Io vagabondo» dei Nomadi, che a Milanello riproponeva in tutte le salse alternandolo a «Bello e impossibile» di Gianna Nannini. Ieri sera, alla mega festa organizzata al Bernabeu per celebrare la conquista della Decima, ha imparato in fretta il nuovo inno del Real e l’ha intonato con tutti i suoi giocatori. Avrebbe voluto piazzare (a sorpresa) qualche strofa di «Io vagabondo» ma poi ci ha ripensato. Adesso a Madrid gli piacerebbe piantare le tende. Per un po’. Basta vagabondaggi...