Massimo Calandri, il Venerdì 23/5/2014, 23 maggio 2014
IN VIAGGIO AD ALAMO TRA UN MILIONE DI BALLE SPAZIALI
Sanantonio. Dove sorgeva il quartier generale del forte adesso c’è un palazzo moderno con al piano terra una esposizione di mostri della catena Ripley’s: l’uomo-vampiro, il vitello a tre teste, la donna barbuta. Venghino, signori. Pochi metri più in là è possibile ammirare per pochi dollari le statue di cera di Michael Jackson, del piccolo Arnold, del ciclista Armstrong, dei protagonisti di Twilight: ma proprio in quel punto, nel 1836, era posizionato il cannone da 18 libbre. Invece delle vecchie mura, ecco altri locali e attrazioni bizzarre: teste meccaniche di dinosauri che sembrano vivi, le riproduzioni a grandezza naturale dei campioni del wrestling. Poi un trionfo di hotdog, zucchero filato, gelati, caramelle, popcorn, bibite zuccherate in bicchieri da orchi. Sono gradite le carte di credito. Benvenuti nel luogo simbolo dell’orgoglio americano, il cuore pulsante dell’identità nazionale Usa. God bless Alamo, Texas, e l’America intera. Dell’antica guarnigione è rimasto ben poco: la Lunga Baracca che ospitava fanti e artiglieri, la chiesa che per un po’ divenne polveriera. Ma per i due milioni e mezzo di visitatori che ogni anno vengono a celebrare gli eroi di quella battaglia perduta, è più che sufficiente. Non è un caso se in questo luogo simbolo, nei mesi scorsi, si sono dati appuntamento gli americani Doc: quelli che contro lo spettro di una nuova legge rivendicano il diritto di possedere, indossare, usare le armi. Perché è in questo quadrato assolato, oggi un quartiere della città di San Antonio, che gli sconfitti –Davy Crockett, James Bowie, William Barrett e gli altri valorosi compagni – hanno fatto la storia a stelle e strisce.
Un pugno di valorosi contro un esercito, una storia impastata di pallottole e di miti. Come è scritto sul sito dell’Alamo Memorial: «Senza Alamo, il Texas non sarebbe mai esistito. Senza ilTexas, l’espansione a ovest degli Stati Uniti non avrebbe avuto esito. E senza il West, gli Stati Uniti si sarebbero limitati a costituire una potenza atlantica. Non avrebbero potuto innalzarsi a potenza mondiale. Senza gli Stati Uniti come potenza planetaria, il mondo come lo conosciamo oggi non esisterebbe». Cristina Cardozo raccoglie cartacce dal prato, all’ombra di un gigantesco albero di pecan. Spazza il vialetto che porta al Museo delle Vendite, e scuote la testa. È una signora di origine messicana, come tutti gli addetti alle pulizie dell’area del Memoriale. Viene da Saltillo, vicino a Monterrey, che è a cinquecento chilometri da qui, a sud oltre il confine di Laredo. «La verità dell’Alamo è un’altra», dice, e alcuni connazionali curiosi. Due anziane coppie di turisti di Guadalajara le si fanno intorno, sorridono e annuiscono. «Ma noi non possiamo dire nulla», fa Cristina, portando l’indice alla bocca, «altrimenti i gringos mi tolgono il lavoro».
La verità è che Davy Crockett non ha mai indossato quel buffo cappellino peloso con la coda. Non qui, con questo caldo. È una bugia che mandò all’inferno almeno venti messicani, prima di morire: la notte della battaglia – non il giorno, ché quella è la versione hollywoodiana – si arrese subito. Quando lo portarono davanti al generale nemico giurò che era tutto un equivoco, che lui faceva il botanico ed era lì per caso. E poi altro che libertà: i centocinquanta texani del Forte sognavano di diventare dei latifondisti e di commerciare schiavi mentre la Costituzione messicana aveva abolito la tratta. Che poi solo un pugno di loro era davvero texano, gli altri erano avventurieri degli stati del Sud. Paco Ignacio Taibo II, l’autore della biografia su Che Guevara (Senza perdere la tenerezza, Saggiatore) ha dedicato sei anni di ricerche a questa vicenda. Consultando migliaia di volumi, rileggendosi le – scarne – cronache dell’epoca, prendendo giustamente con le pinze il resoconto dell’unico testimone, che all’epoca dell’assedio aveva otto anni e con il passare del tempo cambiò mille volte versione. E guardandosi l’imponente filmografia: 26 pellicole, compresa quella mitica con John Wayne. «Il mito fondante, la pietra angolare degli Stati Uniti d’America è una formidabile catena di menzogne. La storia di come si può sfruttare un evento storico fino al punto di riscriverlo totalmente per fini propagandistici»: ecco la sintesi del suo lavoro. Perché quello scontro fu assolutamente minore, durò poco più di un’ora e non servì a trattenere l’esercito messicano permettendo agli indipendentisti di organizzarsi. Semmai, la battaglia decisiva fu quella perduta dopo dal generale Santa Anna a Jacinto. Ma soprattutto, gli episodi di eroismo di Alamo sono tutti fasulli. «Stava per scoppiare la guerra in Vietnam, e Nixon scelse di farne il canto bellico nazionale per mettere a tacere i giovani che protestavano in tutte le città». Anche il cappello di Crockett è un’invenzione: «Di Walt Disney, anni Cinquanta. Allora ci guadagno un milione di dollari. Per poco i procioni non rischiarono l’estinzione, per via del merchandising. Furono fabbricati centocinquantamila cappelli l’anno e per ognuno serviva un animale. Li dovettero persino importare». Adesso i cappelli di Crockett sono fatti in materiale sintetico, costano nove dollari e novantanove al Museo delle Vendite, così affollato che c’è la coda fuori. Al Memoriale l’ingresso è gratuito, la gente affolla la Lunga Baracca ma mostra poco entusiasmo di fronte alle teche che custodiscono schioppi e coltelli, divise e documenti, i corni per la polvere da sparo e poi le bandiere. Prova un brivido quando entra nella stanza dove avevano riparato le donne della guarnigione, quella dove di trova anche l’anello del comandante Travis. I visitatori sembrano preferire l’ampio giardino alle spalle: è fresco, ci sono le panchine e un canale dove nuotano delle carpe giganti. C’è il tempo di prendere fiato, prima di lanciarsi nella grande ed organizzata boutique, che sembra essere l’unico vero scopo della visita. Nel nome di Alamo si vende di tutto: palline da golf, bambole, tazze da caffè, libri, carte peluche, magliette, persino penne stilografiche a forma di fucile e con il logo della leggenda. Gli americani scelgono e si mettono in fila alle casse. Sembrano molto felici.