Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 23 Venerdì calendario

CHI OGGI PUNTA SUL CLIMA IMPAZZITO E CI GUADAGNA


La buona notizia: Stati e società petrolifere, finanziarie e industriali finalmente credono che il cambiamento
climatico esista. La brutta: ci credono, ma non hanno nessuna intenzione di contrastarlo perché hanno capito che ne ricaveranno un sacco di soldi. Lo rivela un libro, Windfall. The Booming Business of Global Warming (Penguin press, pp. 320, dollari 20), scritto dal giornalista americano McKenzie Funk che, in sei anni di ricerche, ha documentato come stia crescendo il «business del disastro climatico», una pioggia di miliardi in arrivo per chi scommette su scioglimento dei ghiacci, inondazioni, carestie, incendi e siccità.
Il Canada, per esempio, sta addestrando la propria marina per controllare, e mettere a profitto, quello che un tempo era il gelato e invalicabile passaggio a Nordovest, dove presto passerà d’estate un gran traffico di navi fra Asia, America ed Europa.
Poi ci sono le compagnie energetiche e minerarie, che iniziano a sfruttare gas, petrolio, carbone e metalli che il ghiaccio artico in ritirata sta rendendo accessibili. Come la britannica Angus e Ross, che estrae zinco da un giacimento emerso grazie alla fusione di un ghiacciaio in Groenlandia e i cui operai, emblematicamente, raggiungono il posto con una funivia comprata in una stazione sciistica svizzera, chiusa per mancanza di neve.
«La cosa sconcertante è che a guadagnare sono spesso nazioni e corporation che hanno fatto di tutto per ritardare l’azione contro il cambiamento climatico» dice Funk. «Ora ne colgono i frutti, indifferenti anche al fatto che così, non solo mettono in pericolo l’incontaminato ambiente artico, ma aggiungeranno anche altra CO2 all’aria, il che scioglierà altro ghiaccio, rendendo accessibili ancora più risorse, in un pericoloso circolo vizioso. C’è poi chi sta producendo dissalatori di acqua marina, un settore in pieno boom in Paesi come Israele, Australia, Arabia Saudita. O chi costruisce argini e dighe contro alluvioni e crescita del livello del mare, come l’olandese Dutch Dockland, che ha perfino proposto alle Maldive di creare isole galleggianti per sostituire quelle che verranno sommerse».
Non mancano fondi speculativi che propongono di investire nell’acquisto di terreni in Africa, in previsione delle future carestie, o nel petrolio del XXI secolo: l’acqua dolce. La Summit Water, per esempio, acquista diritti di irrigazione in aree degli Stati Uniti e dell’Australia soggette a frequenti periodi di siccità, rivendendoli con grandi profitti quando le piogge mancano. Persino le compagnie di assicurazione, per ora, guadagnano dal global warming, aumentando i premi per chi vive nelle aree a rischio.
Ma forse l’esempio che colpisce di più è quello dei «pompieri privati» che, in California, possono essere affittati per difendersi dai sempre più distruttivi incendi forestali: quando intervengono proteggono solo le case di chi li ha pagati e lasciano bruciare le altre. «È una metafora del mondo che ci aspetta» conclude Funk, «l’adattamento ai danni del cambiamento climatico sarà appannaggio dei Paesi o individui ricchi, mentre i poveri, che non sono certo i responsabili del problema, ne subiranno i danni».