Silvia Ragusa, il Venerdì 23/5/2014, 23 maggio 2014
LA SPAGNA COL JET LAG ANTICIPA IL PRIME TIME OPPURE CAMBIA FUSO
MADRID. Ztti tutti: comincia la partita di pallone. In un qualsiasi bar di Madrid, tra una birra Mahou e un revuelto de patatas, (una sorta di Rösti), gli appassionati si danno appuntamento davanti alla tv. Il fischio d’inizio risuona in campo. E nel locale.
Sono le 22 in punto. Nulla di strano, se non fosse che la Liga si gioca spesso nei giorni feriali. Sarà per questo che la ministra della Sanità Ana Mato ha deciso di prendere in mano la situazione: bisogna anticipare tutti i programmi di prima serata, comprese le partite di calcio.
Che la Spagna viva in un perenne «jet lag» è cosa risaputa: qui si pranza alle 14.30 e si cena non prima delle 21.30. Senza dimenticare poi quel quarto di popolazione che spegne il televisore e si avvia verso la camera da letto solo dopo l’una di notte.
E il motivo risale al 1942, in piena Seconda guerra mondiale, quando il dittatore Francisco Franco, come gesto di simpatia verso Hitler, decise che il Paese doveva allinearsi all’orario di Berlino e abbandonare il più naturale fuso di Greenwich. I tedeschi all’epoca imposero a tutti i territori occupati il proprio tempo, ma alla fine della guerra sia la Gran Bretagna che il Portogallo, e perfino le isole Canarie, spostarono di nuovo le lancette sul meridiano del borgo inglese. Eccetto la Spagna, dove gli orologi portano tuttora il timbro del Made in Germany. E dunque, nel momento in cui il sole è allo zenit, cioè alle 12 in punto, ora solare, a Madrid le lancette segnano le 13.30.
Lo sa bene Ignacio Buqueras, che da sei anni si lamenta del tempo iberico. A capo dell’Associazione nazionale per la razionalizzazione degli orari spagnoli (Arhoe) Buqueras appoggia l’iniziativa della ministra: «Gli spagnoli dormono 53 minuti in meno della media europea. Noi ci alziamo alla stessa ora degli altri, ma andiamo a letto molto più tardi». Il prime time tv dovrebbe quindi concludersi non oltre le 23, per recuperare le ore di sonno perdute.
Lo scorso settembre una commissione parlamentare, con tanto di studio socio-economico sugli effetti del fuso orario nella vita sociale e lavorativa delle persone, aveva raccomandato al governo di Mariano Rajoy di riportare indietro gli orologi di un’ora e di introdurre uno standard di otto ore di lavoro. Gli spagnoli infatti non sono meno operosi di altri europei, anzi. Secondo le statistiche – e nonostante la pausa pranzo con siesta inclusa di due ore – a Madrid la giornata lavorativa può durare dalle 10 alle 12 ore.
Finora da parte delle istituzioni, più volte chiamate in ballo, si erano registrate solo timide proposte. La battaglia della ministra Ana Mato sembra però riportare in agenda la questione: i telegiornali dovranno essere anticipati da 30 a 60 minuti e le partite dovranno essere trasmesse non oltre le 21. Le emittenti televisive hanno fatto sapere che studieranno la proposta, ma hanno pure ribadito che alle 20 solo il 50 per cento della popolazione iberica è seduta sul divano di casa. Una percentuale che, per l’Istituto nazionale di statistica, aumenta fino all’80 solo dopo le 22.
Insomma, per porre rimedio allo sfasamento temporale tutto iberico, non basta anticipare la prima serata. Madrid dovrebbe riappropriarsi in toto del suo caro vecchio fuso orario.