Ernesto Assante, la Repubblica 25/5/2014, 25 maggio 2014
LUCA CARBONI
Luca Carboni ha un gran sorriso. È la prima cosa che risalta, sorride con tutto il volto. Si potrebbe dire, esagerando un po’, che la sua musica sorrida altrettanto, anche quando è malinconica, perché attraversata da un’amichevole tranquillità. Questo per dire che è strano immaginare un Luca Carboni elettrico, nervoso, addirittura punk, eppure è così che il cantautore bolognese iniziò la sua carriera trent’anni fa.
Punk, ovvero ribelle, diverso, come il mondo che alla fine degli anni Settanta si muoveva attorno a lui, la Bologna del movimento studentesco, del ‘77, di Radio Alice. «Si, avevo iniziato a strimpellare la chitarra su quell’onda, ero un adolescente, avevo studiato un po’ il pianoforte, ma mi piaceva il messaggio del punk. Diceva “esprimiti anche se non sai suonare, tira fuori quello che hai dentro”. Mi spinse a credere che potevo farlo anche io. Nella band, i Teobaldi Rock, io scrivevo, non cantavo, non ce l’avevo nemmeno il sogno di cantare, quando mi toccava fare qualche coretto nei concerti mi paralizzavo, facevo due passi indietro, lontano dal microfono così non mi sentiva nessuno. Facevo il playback dal vivo». Altro che i ragazzi di oggi, quelli che calcano i palcoscenici dei talent show e sembra abbiano già la sicurezza dei professionisti: «Sono ragazzi che hanno già ben chiaro il loro sogno, vogliono essere cantanti e vogliono andare sul palco, hanno già una tecnica, una storia, un background a volte anche importante. Io sono diventato cantante senza avere niente di tutto questo. Anzi, io non volevo nemmeno diventare un cantante».
Ma il destino, alle volte, prevede per noi delle cose diverse, e nella vicenda di Carboni il destino ha pensato bene di portarlo proprio dietro a un microfono.
«Quando la band si sciolse io rimasi con la voglia di scrivere canzoni e mi venne l’idea di portare i testi, non una cassetta ma solo dei fogli con delle parole, all’Osteria di Vito a Bologna. Ci andai una sera e, guarda un po’ il destino, Lucio Dalla con gli Stadio erano lì a cena proprio per decidere chi dovesse fare i testi del primo album della band. Era il gruppo di Lucio, ma Gaetano Curreri, Ricky Portera e Fabio Liberatori erano tutti autori e avevano un grande potenziale musicale, volevano diventare una band autonoma. Quello che mancava era una chiave, nei testi, che non fosse la replica del mondo di Lucio. E proprio di quello stavano parlando a tavola. Vito prese la busta con i miei testi e la portò al loro tavolo, vidi Lucio aprirla e tirarne fuori i fogli per passarli poi agli altri. Nel giro di poco lo vidi alzarsi e andare al telefono. Capii che stava telefonando a me, non c’erano ancora i cellulari, andai da lui e lo informai, battendogli una mano sulla spalla, che era al telefono con mia sorella». Una favola, dunque, con l’ovvio lieto fine, visto che Dalla e gli Stadio decisero che quel ragazzo, assai timido ma sorridente, poteva essere una risorsa.
Carboni iniziò a lavorare con gli Stadio. Una sola canzone nel primo disco, la maggior parte nel secondo album e poi tutto iniziò a cambiare. «Fu una grande scuola perché mi trovai a vivere in studio con degli artisti fantastici e io non ero mai stato in uno studio. Era la Fonoprint di Bologna, ci andavo tutti i giorni, così come gli altri vanno al bar, e lì vidi nascere Bollicine di Vasco Rossi e 1-983 di Dalla. Era come fare l’università, un corso accelerato, una full immersion nella grande musica». Di cantare, ovviamente, Carboni non aveva ancora alcuna intenzione. «Andava benissimo così. Ma Lucio un giorno mi fece uno scherzo che mi stravolse la vita. Ero in studio a far sentire alcuni pezzi nuovi per gli Stadio, per un eventuale loro disco, e lui di nascosto registrò la mia voce. Alla fine il fonico mi richiamò in regia e mise su il pezzo che stavo cantando: io non avevo mai ascoltato la mia voce se non negli appunti che prendevo per me sul walkman. Era una voce che non mi piaceva assolutamente, non mi sarei mai sognato di cantare davvero. Mi emozionai e capii che le mie storie le potevo raccontare in prima persona».
E così con l’album ... intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film iniziò un’ascesa fino al quarto lp Carboni, con cui supera il milione di copie e vince il Festivalbar ’92. Silvia lo sai, Ci vuole un fisico bestiale o Mare mare diventano hit internazionali. Luca Carboni è uno dei cantautori italiani di maggior successo degli anni Ottanta e Novanta. Uno dei personaggi chiave, assieme a Jovanotti, del rinnovamento della musica italiana del periodo. «Io e Lorenzo eravamo parte di una generazione nuova, che cantava cose diverse, con un linguaggio diverso. Lui ancora più di me, ha quattro anni in meno, aveva dentro la voglia di uscire da un mondo di guerra fredda e anni di piombo: cambiare, voltare pagina. E abbiamo incrociato lo stesso desiderio da parte di chi ci ascoltava». Era un periodo particolarmente ricco di musica: «Quando ci sei dentro non te ne rendi conto. C’era il Lucio Dalla di Balla balla ballerino, i Kraftwerk che anticipavano la techno, i Sex Pistols che rivoluzionavano con il punk, e i Bee Gees che trionfavano con la discomusic: e da ognuno di loro è nato un mondo. Lontanissimi l’uno dall’altro eppure parte della stessa epoca. Versavano dentro di noi qualcosa che poi, non saprei dire come, io o altri abbiamo miscelato, tritato, macinato, impastato, permettendoci di creare qualcosa di nuovo. Ogni rivoluzione ha una dose di contaminazione». E ancora oggi il rap incontra la melodia nelle canzoni di Carboni: «Si, è stato naturale, lo facevo già venti anni fa con Jovanotti, non ho vissuto Fisico e Politico , l’esperienza ultima con Fabri Fibra, come una cosa innovativa ma come qualcosa che mi apparteneva. Per cambiare le regole del gioco bisogna osare di più, fare cose che non siano ovvie o prevedibili. Certo, non le decidi a tavolino, puoi pensare a un progetto ma poi quando una canzone arriva ti porta da una parte che non avevi previsto. Puoi anche avere l’idea di fare un album con una band cinese, ma poi mentre scrivi magari ti viene una bella ballata d’amore, per la quale basta solo una voce e una chitarra, e tutto cambia ancora una volta».
A cinquantadue anni Carboni non è più il ragazzo della canzone d’autore, anzi, merita a tutti gli effetti il ruolo di “senatore”. «Magari proprio senatore non lo diventerò mai» ride, «ma è vero che crescere ti porta a cambiare completamente. A cinquant’anni in un attimo ti senti di essere fuori dalla “nuova generazione”, ti rendi conto che tuo figlio quattordicenne è proiettato in un’altra dimensione. Ed è singolare sentirsi così in un mondo come quello del pop in cui la giovinezza è sempre stata un valore. Le grandi rivoluzioni le hanno sempre fatte artisti che entro i venticinque anni hanno detto tutto o lanciato germi nuovi. Ma poi ci ragioni, superi l’insicurezza e puoi tornare a essere nuovo un’altra volta. Dopotutto Hemingway ha scritto grandi romanzi a ottant’anni...».
Gentile nei modi e nella scrittura, poco incline a gesti eclatanti e spettacolari, Carboni ha attraversato trent’anni di canzone riuscendo a mantenere salda la rotta del suo piccolo vascello, senza cedere alle sirene del mercato: «Ci sono riuscito probabilmente proprio per la maniera anomala in cui è iniziata la mia storia. Sono rimasto attaccato al concetto di scrittura anche quando il successo che ho avuto era enorme e mi spaventava.
Ai tempi di Farfallina mi era difficile addirittura camminare per strada: non volevo essere un cantante, figurarsi una star. Ma proprio il non aver mai avuto confidenza con il successo mi ha aiutato, perché non l’ho mai dato per scontato né ho sofferto troppo quando le cose sono andate un po’ peggio. Soffro se un disco non viene bene, non se ha meno consenso». In questi trent’anni la musica è cambiata molto, sono cambiati i supporti, il mercato, i gusti, il pubblico. «La musica è un camaleonte, si adatta. Sta morendo certo un modo di farla. Ma non sta morendo la musica. Anche se è un momento davvero difficile so che un prossimo mondo musicale ci sarà: c’è tanto da immaginare e da sognare, può succedere. Succederà».
Ernesto Assante, la Repubblica 25/5/2014