Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 25 Domenica calendario

DA FRANCESCO A HITLER E STALIN I LEADER SI AFFIDANO A SANTI E DITTATORI


La carezza di Papa Giovanni, i baffi di Hitler e quelli di Stalin (detto “Baffone”), i muscoli e il cuore di Bartali, la mitezza di San Francesco e la crudeltà di Pol Pot, Berlinguer e Robespierre, Charlie Chaplin e i lager.
E se invece di citazioni fossero, in qualche modo, evocazioni spiritiche? Fatto sta che la campagna elettorale si è riempita di morti viventi. Lo si scrive qui con il massimo rispetto: ma per i defunti e i personaggi della storia, molto meno per chi li ha esposti con tanta disinvoltura sulle bancarelle dell’ultim’ora. Senza oltretutto minimamente preoccuparsi della loro più sospetta intermittenza e interscambiabilità.
Per cui quello stesso Giovanni XXIII riesumato l’altroieri in piazza da Casaleggio risulta gettonato da Bersani in tv nell’autunno del 2012 — e fu un piccolo caso. Così come il San Francesco di Grillo era già stato annesso sia da Fini che da Pecoraro Scanio. Non è mai chiaro se i politici si copino l’un l’altro o se questo accade perché mirano allo stesso target. E tuttavia colpisce che l’Adriano Olivetti menzionato a tutto spiano dal presidente Renzi sia il medesimo personaggio alla base de “ Il sole in tasca ” (Mondadori, neanche a dirlo, 2008), stravagante saggio con cui Sandro Bondi paragona l’imprenditore di Ivrea a Berlusconi.
Lunga e grottesca, in tutta franchezza, appare la lista di icone ecumeniche, generaliste e polivalenti che da una ventina d’anni affollano il Pantheon usa e getta della Seconda Repubblica: Kennedy, Luther King (“I have a dream”), Cavour, De Gasperi, Pavese, Pasolini, Montanelli, Falcone e Borsellino, Einaudi, La Pira, Pertini, Gandhi, Mandela, Madre Teresa e via andare, fino a Totò e adesso magari anche a Fonzie, che come attore sarà pure vivo, ma il personaggio no.
Con Enrico Berlinguer, d’altra parte, di cui sempre Casaleggio ha chiesto venerdì sera alle moltitudini di scandire il nome, siamo ormai al terzo o al quarto recupero. Sulla sua figura, o meglio sul singolare potere da lui esercitato post mortem esiste un paradossale, ma interessantissimo saggio pubblicato già nel 1994 su una rivista di antropologia, Il Corpo, che lo indica come il classico revenant, o fantasma vivente, all’interno di un caso di “possessione politica”. Basti pensare all’aspro conflitto di attribuzione tra Pds e Rifondazione sulla sua eredità politica, allora già divampato; e poi alle dimenticanze indotte, ai sensi di colpa, ai corteggiamenti famigliari, alle esclusioni dal Pantheon dell’imminente Pd (per bocca di Bersani, nell’aprile 2007), alle inevitabili code di paglia e agli opportuni ravvedimenti anniversaristici e veltroniani.
Tutto questo è forse divenuto inevitabile. Craxi e Spadolini, in fondo, si litigavano Garibaldi e Mazzini, ma trent’anni fa le culture politiche tutto sommato reggevano. Nessuno allora avrebbe mai neanche immaginato che Berlusconi avrebbe tentato di appropriarsi di Sturzo, con tanto di targa sul portone di via dell’Umiltà; o che il leader di An, in un empito temerario, avrebbe lasciato intitolare un circolo a Benedetto Croce, o avrebbe riconosciuto il valore di Gramsci.
Il sospetto, certo, è che si trattava di inconfondibili leggerezze ad effetto. Molto di quel che accade oggi trova il suo sviluppo nella civiltà, invero un po’ regressiva, delle immagini — e in questo senso fanno testo i tanti, anzi i troppi video-minestroni, e polpettoni, spezzatini, pasticci, fritti misti, insalate e macedonie che i partiti e i loro leader proiettano nei congressi e nelle convention per riscaldare la macchina emotiva, naturalmente a spese dei contribuenti e comunque scomodando i più diversi personaggi e le più incongrue situazioni: Wojtyla e Andrea Pazienza, il Piave e Bella ciao, il gol di Tardelli e “Ladri di biciclette”, Mussolini e Belen, le Polaroid di Moro e gli inesorabili stilisti del made in Italy.
Criticare questa roba equivale quasi sempre a sparare sulla croce rossa. Ma se ne possono anche trarre motivi di straniante buonumore, ad esempio nell’apprendere che durante l’ultimo raduno dei “Fratelli d’Italia”, a Fiuggi, nel marzo scorso, prima che Giorgia Meloni intonasse un inno di Renato Zero, “Più Su”, ai congressisti è stata inflitta una clip in cui doveva figurare il patrono dell’Eni Enrico Mattei, fautore dell’indipendenza energetica nazionale, ma siccome gli autori non ne conoscevano il volto, beh, ci hanno piazzato quello di Gian Maria Volontè, che lo interpretava ne “Il caso Mattei”.
Mica male. Spiegava l’altro giorno Carlo Freccero che in un tempo di visioni a distanza e di stravolgimenti mediatici “la cultura è diventata ‘cult’, e il ‘cult’ è qualcosa di eccessivo”. Il punto, forse, è che tra “mediatico” e “medianico” l’assonanza supera una semplice consonante e sotto elezioni, privi come sono di radici, di progetti e di prospettive, i tribuni e medium della post-politica convocano, arruolano e perfino si disputano gli spettri per catturare attenzione e darsi energia.
Papi, attori, tiranni, santi, campioni. Ma più che ectoplasmi sembrano ologrammi. Durano poco, poi svaniscono, né mai alcuno gli chiederà conto della loro artificiale ricomparsa.

Filippo Ceccarelli, la Repubblica 25/5/2014