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 2014  maggio 25 Domenica calendario

SALVATE NOBILE LO ORDINA L’ASSICURAZIONE


Ai confini della Terra, a 78° di latitudine Nord, c’è l’ultimo museo del mondo. È dedicato ai temerari che hanno cercato per primi di raggiungere il Polo volando: Walter Wellman nel 1907, Roald Amundsen nel 1926 e Umberto Nobile nel 1928. Lo ha fondato e lo gestisce un italiano, Stefano Poli, capitato vent’anni fa in queste isole popolate da 3000 orsi bianchi e da 2000 esseri umani, nelle quali bisogna avere un fucile quando ci si allontana dal centro abitato e dove non si può morire, perché nessuno può essere sepolto qui, dove i corpi non si decompongono a causa del freddo. Ma le Svalbard sono un posto davvero incantato e speciale: anche i guai del mondo fanno fatica ad arrivarci e una volta abituati al gelo, agli orsi, al sole perenne dell’estate e al buio perenne dell’inverno, ci si può vivere molto bene.
La collezione che Poli ha gelosamente messo insieme nel suo «Airship Museum» è davvero eccezionale e consente forse di riscrivere la tragedia del dirigibile «Italia» e di svelare la vera ragione per la quale il comandante Nobile fu salvato per primo dalla Tenda Rossa, un’onta che lo marchiò per tutta la vita. Si trattò, come a volte accade anche nelle situazioni più epiche, di una banale questione di soldi e di assicurazioni.
I reperti dell’odissea dell’Italia sono sparsi in tutto il mondo: un po’ in Russia, un po’ in America, un po’ a Milano e nel vergognoso museo di Lauro vicino ad Avellino, dove Nobile nacque nel 1885. Altri, come il prezioso «Brogliaccio del Norge», sono andati in fumo nell’incendio della Città della Scienza di Napoli. A Longyearbyen rimangono fotografie, documenti, libri, giornali e riviste dell’epoca. C’è la commovente lettera che il giornalista del Popolo d’Italia Ugo Laghi scrisse ai genitori prima di partire e di morire. E ci sono lettere e telegrammi che svelano aspetti della spedizione volutamente tenuti in sottofondo dopo la tragedia. Ad esempio il sospetto che Nobile non sia stato salvato per primo per coordinare meglio i soccorsi dei compagni, come allora pietosamente si disse.
Umberto Nobile credeva nei dirigibili, li progettava e li pilotava. Ai comandi di una sua creatura, il «Norge», arrivò per primo sul Polo Nord nel 1926 come membro della spedizione del norvegese Roald Amundsen, al quale andò tutto il merito. Tornato a casa, propose a Mussolini di ripetere l’impresa, ma per la gloria di Roma. Il Duce rispose che non si va mai due volte contro il destino: non appoggiò la spedizione, ma non si oppose.
Il dirigibile partì dalla Baia del Re, un centinaio di chilometri a Nord di Longyearbyen, poco dopo le quattro del 23 maggio 1928. Aveva a bordo 19 persone, più la cagnetta di Nobile, Titina. In meno di 20 ore, a mezzanotte e 24 minuti del 24 maggio, raggiunsero la meta. Nel museo si leggono con emozione le annotazioni sul brogliaccio: «20,30: deriva 3° a dritta». «22,30 Nebbia fitta sul pack, si naviga sopra le nuvole». Poi, al centro, l’indicazione del nuovo giorno, «24 maggio». E subito dopo: «00,24 POLO!».
Nobile non atterrò come avrebbe voluto, a causa della nebbia e del vento. Durante il ritorno, a 81° di latitudine Nord, quasi a due passi dalle Svalbard che si vedevano in lontananza, l’Italia precipitò sul pack, forse per un guasto causato da decisioni sbagliate. La navicella si frantumò, lasciando sul ghiaccio una vittima, 9 superstiti e Titina. L’involucro del dirigibile, alleggerito, portò via con sé gli altri 6 uomini e di loro non si trovò più traccia.
La vicenda della Tenda Rossa e dei 49 giorni alla deriva in attesa del rompighiaccio sovietico «Krassin» è molto nota e resta un grande esempio di coraggio, di forza d’animo e di straordinaria capacità di sopportazione. E anche di ardimento e generosità di uomini che rischiarono e persero la vita, come lo stesso Amundsen, per soccorrere i naufraghi. Ma è rimasta un mistero la ragione per la quale, quando il Fokker pilotato dal comandante svedese Einar Lundborg finalmente atterrò sul ghiaccio il 23 giugno, il primo a essere portato in salvo fu proprio Nobile. Aveva subito la frattura di una gamba e alcune lussazioni, ma non era il più grave, altri stavano peggio di lui. Lundborg fu perentorio: sono venuto a prendere Nobile, disse in inglese, e se ne ripartì con Nobile e con Titina.
Nel museo di Longyearbyen c’è un documento che elenca i costi della spedizione, quasi tutti pagati da privati: 1,4 milioni di lire per i materiali, 1,9 milioni per il personale e 500 mila lire per l’assicurazione. C’è anche una lettera del 19 marzo, Anno VI, a Sua Eminenza il Cavalier Benito Mussolini, nella quale si chiede rispettosamente di intervenire sul Consorzio Assicurazioni Aeronautico per abbassare il costo della polizza, giudicato esorbitante. E c’è l’incredibile telegramma inviato da Nobile il 25 giugno, un giorno dopo essere stato salvato, nel quale chiede che le sue due assicurazioni vengano estese anche alle operazioni di salvataggio dei compagni - che non compirà mai - e presenta denuncia dei suoi infortuni, alla quale seguirà «rapporto medico». Solo nell’ultima riga annuncia che invierà «appena possibile» un rapporto sull’incidente.
L’assicurazione sembra quasi essere una ossessione per Nobile. E sembra proprio che l’ordine perentorio di metterlo rapidamente in salvo, prima che le sue condizioni peggiorassero, sia stato impartito dalla compagnia assicuratrice, che per lui aveva sottoscritto il premio più elevato. L’esigenza di coordinare meglio i soccorsi fu una invenzione subito smentita dai fatti: le operazioni di recupero restarono sempre affidate al comandante della nave appoggio «Città di Milano», Romagna Manoja, che fece il minimo. Fu grazie agli svedesi, ai norvegesi e ai russi che i sopravvissuti si salvarono. Nobile passò il resto della sua lunga vita a giustificarsi. Ma avrebbe dovuto ascoltare Mussolini: anche se assicurati, non si va mai due volte contro il destino.

Vittorio Sabadin, La Stampa 25/5/2014