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 2014  maggio 25 Domenica calendario

IL CAMBIO DI ROTTA PER BERLINO


È impressionante la diversità del clima delle elezioni europee in Italia e in Germania. Da noi una campagna urlata, a tratti offensiva, intimidatoria.
Da loro una normale consultazione politica, senza particolari emozioni. I tedeschi sembrano distratti, soddisfatti dello status quo, al di là dello scongiuro contro «i populismi» anti-europei, il «merkelismo» agisce come tranquillante, nel senso che i tedeschi si sentono comunque forti delle loro buone ragioni e contano sul grande consenso interno, anche in questa competizione europea. Non sembrano sospettare che potrebbe succedere qualcosa di inatteso che li costringerebbe a rivedere le loro posizioni.
I due candidati principali, il popolare Jean-Claude Junker e il socialdemocratico Martin Schulz, da settimane si confrontano faccia a faccia secondo le buone regole del confronto politico che sono azzerate in Italia. Le loro posizioni verso la politica europea sono differenti, anche se espresse sempre in modo generico: cautamente innovative quella di Schulz, cautamente conservatrici quella di Junker. «Non abbiamo bisogno di una democrazia che si adatta ai mercati come la signora Merkel vorrebbe, ma un mercato al servizio della democrazia» – annuncia Schulz. «Non ho nulla da rimproverare personalmente a Jean-Claude Juncker, ma è stata la destra a ridurre le istituzioni europee in questo stato». «Se, vincerà il Ppe ci toccheranno altri cinque anni di austerità e ingiustizie sociali». E Juncker gli replica: «Non rappresento l’austerità ma la serietà». «Non c’è crescita senza risanamento delle finanze pubbliche». «Non possiamo continuare a spendere soldi che non abbiamo».
Si tratta di affermazioni sentite e risentite, riproposte con civile ripetizione e accompagnate da manifestazione di reciproca stima. Ma di fronte alle passioni che si agitano in altri Paesi europei appaiono un po’ imbarazzanti. Questa è stata l’impressione che si è avuto alcuni giorni fa assistendo al grande duello televisivo dei due protagonisti. «Il tutto è molto tedesco» - ha commentato la Sueddeutsche Zeitung. E’ una singolare affermazione che dice molto di più della sua ovvietà: come se i tedeschi continuassero a giudicare quello che sta accadendo in Europa sempre ed esclusivamente nell’ottica dei loro problemi e delle soluzioni da loro proposte. Rispetto ad esse le opinioni o proposte divergenti sono fattori di disturbo.
Da questo punto di vista il motivo dominante della denuncia dei «populismi» e dell’euroscettismo come il vero pericolo che «popolari» e «socialdemocratici-democratici» devono combattere uniti, non è affatto un elemento chiarificatore. Ipotizziamo pure che nella prossima assemblea europea l’insieme dei gruppi che sono ostili in modo assoluto all’euro e/o all’Europa non risulti maggioritario o comunque non sia in grado di paralizzarla. Questo dovrebbe spingere verso una coalizione di forze pro-Europa in grado di riguadagnare il consenso della massa dei delusi e di chi ha votato con grande disillusione. Una coalizione capace di ottenere eventualmente anche un appoggio condizionato di altre forze di sinistra che vogliono «un’altra Europa» -. Ma è ipotizzabile una specie di Grande Coalizione a Strasburgo che non sia omologa a quella che governa a Berlino?
La risposta a questo interrogativo dipende in buona parte da come voteranno i tedeschi. In particolare i socialdemocratici che in Germania fanno coalizione con la cancelliera Merkel mentre a Strasburgo potrebbero sostenere Schulz, critico della Merkel.
Sarebbe un pasticcio o una correzione di rotta? Che cosa succederà se l’assemblea parlamentare europea presentasse (con il contributo di alcuni deputati tedeschi) una maggioranza difforme da quella che governa a Berlino? Una maggioranza che si facesse promotrice di iniziative o di raccomandazioni che non sono in sintonia con quelle tedesche ufficiali? Non è una congettura stravagante.
Lo slogan della cancelliera Merkel sin qui vincente – «se fallisce l’euro, fallisce l’Europa» - non funziona più. Infatti proprio per non far fallire politicamente l’Europa, a fronte della drammatica caduta di fiducia dei cittadini europei, si dovrà mettere mano a una politica monetaria ed economica più ragionevole (o semplicemente più razionale). Per cominciare, occorre sostenere con maggiore convinzione la linea intrapresa dalla Bce, nei limiti delle sue competenze. Sembrano capirlo finalmente anche alcuni falchi della Bundesbank e gli esponenti più riflessivi della Corte di Karlsruhe. Ma soltanto se gli elettori socialdemocratici scegliessero massicciamente Schulz, lo spingessero a concretizzare le sue generiche dichiarazioni di intenti, emancipando la Spd dai vincoli che la Merkel le ha imposto in Germania con lo «scambio politico» con la Cdu/Csu, si creerebbero le premesse per un cambiamento di linea a livello europeo. E’ una ipotesi realistica?
Sull’altro fronte, il fenomeno più curioso della campagna elettorale tedesca rimane la posizione o meglio l’immagine pubblica e mediatica della Alternative fuer Deutschland. La proposta di questo gruppo ( che sarebbe diffamatorio definire semplicemente «populista»), maturata da una critica severa (da destra) alla linea sin qui tenuta dal governo tedesco, ipotizza per la Germania e per gli Stati settentrionali l’uscita dalla zona euro, con l’eventuale creazione di due zone euro – una al Nord e l’altra al Sud. Stampa e media assicurano che la AfD è un movimento ancora largamente minoritario, ma crea nervosismo non tanto per le dimensioni che potrebbe raggiungere, quanto per le idee che diffonde. E’ una specie di «cattiva coscienza» che tormenta molti tedeschi. Cosa succederà se diventasse visibile a Strasburgo?
E’ probabile che i risultati delle elezioni europee costringano comunque i tedeschi a riflettere in modo più realistico e autocritico la loro collocazione in Europa. Almeno ce lo auguriamo.

Gian Enrico Rusconi, La Stampa 25/5/2014