Simone Paliaga, Libero 25/5/2014, 25 maggio 2014
COME DISTRUGGERE UN IMPERO CON UN PUGNO DI BEDUINI
«La maggioranza delle guerre è stata guerra di contatto, con entrambe le parti che cercavano l’impatto con l’altra parte per evitare sorprese tattiche. La nostra doveva essere una guerra di distacco. Dovevamo contenere il nemico per mezzo della minaccia silenziosa di un grande deserto sconosciuto senza manifestarci fino al momento dell’attacco. L’attacco sarebbe stato nominale, diretto non verso il nemico ma verso le sue cose per colpire il suo materiale più facilmente accessibile».
A vergare queste parole non è l’avventuriero, un mito del XX secolo, descritto nella pellicola diretta da David Lean. Thomas Edward Lawrence altrimenti conosciuto come Lawrence d’Arabia non è solo il personaggio romantico che poco più che adolescente attraversa a piedi la Siria per studiare i castelli crociati, non è l’autore de I Sette pilastri della saggezza, non è il difensore dell’indipendenza araba né il deluso condottiero del deserto che dopo la guerra combia nome e entra nella Raf come semplice aviere. O almeno non solo questo.
A scriverle è l’abile tattico che inchioda nel 1916 l’Impero ottomano nel deserto e guida le tribù beduine nelle azioni di sabotaggio contro la linea ferroviaria di Hajaz o nella battaglia di Tafila. E questo contro tutte le aspettative. Ebbene sì. Lawrence d’Arabia non è solo il tormentato eroe solitario, ma anche un importante teorico militare, tanto che la voce «Guerriglia» dell’Encyclopedia Britannica porta la sua firma e in questi anni è tornato alla ribalta nelle accademie militari per studiare come fronteggiare gli insorti in Iraq e Afghanistan.
Di questo aspetto del personaggio ha parlato ieri al festival è Storia di Gorizia lo studioso irlandese David Murphy in occasione della pubblicazione in italiano del suo Lawrence d’Arabia (Libreria editrice goriziana, pp. 108, euro 15).
Quando allo scoppio della guerra T. E. Lawrence giunge al Cairo presso i servizi segreti dello Stato Maggiore, non avrebbe mai sospettato che sarebbe finito in prima linea. Rilevazioni cartografiche, interrogatori dei prigionieri grazie alla sua conoscenza dell’arabo, supervisione della stampa e decodifica dei telegrammi scandivano la sua giornata. Questa la routine fino al 1916. Poi, allorché la rivolta araba esplode nello Hejaz, nella moderna Arabia Saudita, freme per essere inviato al fronte e poter ragguagliare il comando sulle vicende in corso, valutare le capacità dell’esercito arabo e dei suoi comandanti e preparare una rete di intelligence militare. Era abilissimo nell’interloquire con lo sceriffo della Mecca Hussein e con i figli Alì, Abdullah e Feisal e nel cogliere, malgrado lo scarso addestramento e la mancanza di esperienza sul campo, gli snodi tattici degli scontri tra gli arabi e l’esercito ottomano.
È Lawrence a incoraggiare la conquista, con l’appoggio della pattuglia del Mar Rosso della Royal Navy, dei centri costieri di Yanbu e Rabegh, indispensabili per assicurare gli approvvigionamenti ai beduini. Come è lui a blandire gli arabi per colpire la ferrovia di Hejaz che assicurava i rifornimenti alle truppe ottomane. Lawrence si accorge che non serve cercare lo scontro frontale con le truppe nemiche e nemmeno assaltare i treni per evitare inutili spargimenti di sangue tra i suoi. Preferisce sabotare la strada ferrata, non facendo saltare i binari bensì deformandoli con le cosiddette mine a tulipano, per costringere i genieri turchi non solo a sostituire i pezzi fatti brillare, ma prima a smontare quelli rovinati prolungando così le attività di ripristino.
Non esclusivamente il talento per il sabotaggio vibra nelle sue corde. Quando in Europa si preferisce la guerra di posizione, il colonnello del deserto sceglie di sfruttare le nuove tecnologie per garantire la maggiore rapidità negli spostamenti. A soccorrerlo in queste intuizioni saranno le rapide autoblindo britanniche che avrebbero sostenuto le truppe arabe negli attacchi contro un esercito nemico legato ancora a tattiche belliche d’antan.
Al pensiero segue anche l’uso delle armi. Non demerita, Lawrence, nemmeno come comandante sul campo, per quanto bistrattato dagli stessi inglesi, perché considerato inadeguato e senza la necessaria esperienza. O forse solo per invidia. Dopo la conquista di Aqaba, nei primi giorni di luglio del 1917, più volte guida le incursioni contro le truppe nemiche. E non si tratta sempre di azioni di guerriglia. Il mordi e fuggi è la regola, ma ci sono anche le eccezioni. Così gli capita di trovarsi alla testa dei suoi uomini, nel gennaio del 1918 a Tafila, nell’odierna Giordania, quando la sua colonna di 600 beduini si scontra con una brigata turca superiore per numero e mezzi. La battaglia infuria per appena due ore, tuttavia segna una svolta nella rivolta. Da allora gli arabi prendono sufficiente sicurezza per affrontare liberamente i turchi in campo aperto e puntare su Damasco chiudendo la guerra del Vicino Oriente.