Francesco Specchia, Libero 25/5/2014, 25 maggio 2014
SPRECONI E PRIVILEGIATI. ECCO PER CHI
Evasori. Evasori istituzionali. Qualche tempo fa un europarlamentare inglese, Godfrey Bloom, una specie di Torquemada dell’Eurocrazia, se ne uscì in aula con un’invettiva trasformata oramai dal web in una viralissima icona di democrazia: «Signor presidente, mi viene in mente una frase del grande filosofo Americano Murray Rothbard che dice: “Lo Stato è un’istituzione basata sul furto”» disse Bloom battendo il pugni sul tavolo, alla Krusciev. «Io non so proprio come voi tutti possiate rimanere seri nel parlare di evasione fiscale. L’intera Commissione Europea ed i suoi burocrati non pagano tasse. Voi non pagate le tasse dei vostri cittadini, voi avete ogni sorta di agevolazione, aliquote corrette, una “notax area” altissima, pensioni non contributive. Voi siete i più grandi evasori fiscali in Europa, eppure state lì seduti ad impartire lezioni...». Gli eurostatisti maghi dell’evasione.
Ci fu qualche borbottio di disappunto, ma l’uomo non venne smentito. E ci mancherebbe. Il mondo degli europarlamentari che stiamo andando a votare è un fantastico Regno di Oz dove, finita la logica inizia lo spreco e il privilegio. Certo, qualcuno lavora. Ma, soprattutto per la truppa italiana, l’Europarlamento è un cazzeggio. Fu l’onorevole Madgi Allam a dire candidamente: è un’istituzione inutile, ma quello stipendio mi serve per campare. Quel che segue è un vademecum per le elezioni. Così, giusto per rinfrescarci la memoria di chi-e cosa- si va a votare.
FISCO MON AMOUR
Si diceva la fiscalità degli eurodeputati. Gli europarlamentari, che passano da 766 a 751. In rappresentanza di 500 milioni di abitanti, secondo le nuove regole del Trattato di Lisbona ufficialmente hanno tutti lo stesso stipendio: 7.957 euro lordi al mese che, al netto delle tasse pagate al bilancio comunitario, dei contributi previdenziali e dell’assicurazione sanitaria, ecc.. diventano 6.200 euro netti; più dei 5.246 euro deputati italiani, tra diarie e tutto il resto si arriva a 10mila. Nette. Ma c’è un ma.
Se in Italia ai cittadini viene applicata un’aliquota del 43% per la parte di guado che supera i 75.000 euro, quella imposta agli eurodeputati italiani è molto più bassa: al di sotto del 24%, se si esclude il contributo per l’assicurazione in caso di incidenti. Un tempo lo stipendio europeo era uguale a quello degli eletti nazionali, e le tasse finivano nelle casse del Tesoro. Gli italiani e gli austriaci erano i più pagati. Gli ungheresi, invece, ricevevano appena 840 euro al mese. Il bisogno di uniformare il trattamento spinse l’Europarlamento a un nuovo Statuto. Ma per non danneggiare troppo italiani e austriaci, venne scelta l’imposizione comunitaria invece di quella nazionale. Ma il Messaggero, in una sua formidabile inchiesta sulla tassazione europea, non riuscì a capire quali fossero le esatte aliquote dei nostri a Bruxelles; si sa per certo
che mentre alcuni popoli (gli olandesi, ad esempio) scelgono la tassazione patriottica, altri, banalmente (gli italiani, per esempio) nicchiano e si buttano sulla più bassa. Sempre. Si giustificano dicendo: «Bisogna cambiare la legge», ovviamente non è vero...
DAI 100, RICEVI 60
Peraltro l’Italia nei suoi rapporti con i soldi e la Ue, è un po’- diciamolo sfigata. Per ogni euro che versiamo all’Unione riportiamo a casa solo 60 centesimi, che spendiamo malissimo.
Nel 2013 l’Italia ha versato a Bruxelles 15 miliardi di euro e ne ha ripresi poco più di 9 da investire in progetti mai realizzati (sono serviti alle solite clientele con finanziamento a pioggia: Mario Giordano nel suo libro “Non vale una lira”, Mondadori, racconta di finanziamenti Ue alla Trattoria Don Ciccio di Bagheria, o alle onoranze funebri Al Giardino dei fiori di Gangi...).
LA TRANSUMANZA
Come nelle carovane dell’Alleluja del vecchio west, una volta al mese, 12 volte l’anno, un venerdì notte decine di pullman si incolonnano vicino all’Europarlamento, per caricare di casse piene di documenti cartacei ed effetti personali dei deputati. Il palazzo di Bruxelles inizia a svuotarsi in vista della sessione Plenaria di Strasburgo, il che costringe almeno 6.000 persone a trasferirsi per 4 giorni dalla capitale d’Europa al capoluogo dell’Alsazia. La scena inquieta un po’. Nella notte i tir percorrono 409 chilometri per scaricare i documenti entro il lunedì mattina, «quando a prendere la via di Strasburgo sono deputati, assistenti, funzionari, tecnici, diplomatici, lobbisti e giornalisti. I mezzi sono i più disparati: 3 treni speciali ad alta velocità, 2 aerei charter oltre a quelli di linea, centinaia di auto private e una volta l’anno una carovana di moto del “club dei motociclisti europei”, dicono i testimoni». Tutto questo perché, dell’Europarlamento continuano ad operare due sedi, Bruxelles e Strasburgo. Molti eurodeputati, sfiancati per sé e imbarazzati per gli elettori, hanno battagliato per sopprimerne una, a scelta, dato che l’aggravio minimo delle spese è di 180 milioni (la paladina italiana è la forzista Lara Comi). Ma nulla, la burocrazia è invincibile. Soprattutto per Strasburgo, che non molla il business dell’indotto politico, circa 80 miliardi l’anno, come andare al Festival di Sanremo una volta al mese.
L’IMPORTANZA DEL WC
Ricorda il giornalista Paolo Bracalini nel suo “La Repubblica dei mandarini” (Marsilio) che il filosofo Hans Magnus Enzensberger, nei panni di giornalista d’inchiesta alla Ue, venne letteralmente spiazzato. C’è una norma Ue per ogni cosa, dalla misura obbligatoria per i cetrioli (e altri tipo di verdura purché prodotti dalle multinazionali) alla quantità d’acqua per lo sciacquone; «i wc hanno un limite di cinque litri d’acqua, gli orinatoi di uno. L’uso corretto del bidè non è ancora contemplato dalla Ue», scrive Bracalini. La Ue, però, s’impegna nell’impedire la pesca del tonno ai pescatori siculi le cui aziende ittiche sono costrette a comprare scorfani dalla Spagna e dalla Francia, se non dalla Tunisia. Per non dire delle traduzioni: «Tradurre le 23 lingue della Ue nelle tre lingue ufficiali francese, inglese e tedesco costa al cittadino europeo un miliardo l’anno (tra l’altro dei 73 membri della delegazione italiana, solo una ventina parlano correntemente inglese e francese, le due “lingue di lavoro”)» .
L’ARTE DELL’ASSENZA
Hai voglia a dire, Matteo Renzi, che «nessuno può davvero fare lo splendido» , e che «finiranno i privilegi anche in Europa», in una risposta al Messaggero. See... Prendete, oltre l’assenteismo cronico, la fac-
cenda del doppio incarico a dimostrare la pregnanza dell’impegno europeo con l’elettore. Se vieni eletto e poco poco ti richiamano, tu rientri subito in Italia anche solo per fare il sindaco di Napoli (Luigi De Magistris), l’anchorman tv (Michele Santoro), il governatore del Friuli (Deborah Serracchiani), il ministro (Mario Mauro), il senatore senza meta per Morio Monti (Gabriele Albertini). Emblematico, scrive La Stampa il caso «dell’attuale sottosegretario dei beni culturali e del turismo Francesca Barracciu, che ha mostrato di considerare l’impegno in Europa come un diversivo fra un incarico e un altro».
Insomma: incarichi vaporosi, grandi stipendi, molte latitanze, sprechi. Un’idea diversa della nazione. Certo, ci sono anche europarlamentari che lavorano sodo, ci mancherebbe. Ma, in linea di massima, se «ce lo chiede l’Europa», vuol dire che la domanda, di solito è sbagliata.