Gabriele Santoro, Il Messaggero 25/5/2014, 25 maggio 2014
SOCRATES LA LIBERTÀ IN CAMPO
IL CAMPIONE
Ai dirigenti del Botafogo, che gli proposero il primo contratto professionistico, rispose senza tentennamenti: «Voglio diventare un medico, e fare la mia parte per un Brasile democratico». Lo stipendio era funzionale al pagamento dell’università, e si laureò. Quel ragazzino, alto e magro, illuminava il gioco del calcio, che era una questione di ribellione, allegria, passione e fratellanza. Il gioco degli inglesi reinventato come attività artistica. Disegnava, con il pensiero e poi con il piede, traiettorie inimmaginabili per gli altri; dotato di un’intelligenza e una coscienza critica fuori dal comune, trasmessa dall’adorato padre. Leggeva, e amava, i grandi pensatori greci come le opere di Jorge Amado e Gabriel Garcia Marquez. «Dovrebbe giocare di schiena con quel tacco che ha», sosteneva Pelé. Lui: «Colpivo la palla di tacco per farvi innamorare, mai un colpo inutile perché la bellezza è un bene necessario».
Joào Sebinho, il suo primo massaggiatore a Ribeirào Preto, ogni santa domenica va a deporre un fiore al cimitero e si commuove: «Sòcrates non aveva bisogno di allenarsi: era un fenomeno. È rimasto fedele a sé stesso. Mi ha spinto a laurearmi: si batteva per l’istruzione, quale strumento di emancipazione». O Doutor trattava di princìpi non di soldi. Lorenzo Iervolino con “Un giorno triste così felice” (66thand2nd, 343 pagine, 16 euro) ci fa viaggiare nei luoghi e nelle idee di un’epoca ricca di energia gioiosa e sovversiva. Il risultato della sua ricerca, durata un anno, è la riscoperta del senso profondo di un’esperienza unica nella storia dello sport più amato. Il futebol socratico non poteva essere irregimentato tanto dalla dittatura militare, quanto dall’esasperata geometrizzazione della tattica.
LA RIVOLUZIONE
I giornalisti gli domandavano: «State combinando la rivoluzione?». «No, stiamo rimettendo le cose a posto». Non gli interessava parlare di calcio. Responsabilità, non anarchia, è la parola che ricorre maggiormente nella stagione della democrazia corinthiana, che incontrò non poche ostilità. Un modello di partecipazione e un processo politico che, nato nello spogliatoio del Corinthians, si saldò con le oppresse aspirazioni di libertà di una nazione. I cittadini-giocatori dovevano essere coinvolti nelle scelte della società. Rappresentò un laboratorio della democrazia da riconquistare. La simbolica battaglia contro i ritiri prepartita assunse una rilevanza nel dibattito nazionale antiautoritario. Sulle maglie alvinegro ecco apparire l’invito al voto; brillava la scritta Democracia. Spiato dai colonnelli, come Senna e Pelé, affermò: «Il governo è proprietario irresponsabile delle nostre libertà».
Timido, carismatico, stile inconfondibile, sempre a testa alta come quando impostava le azioni. Lento nello scatto, imprendibile nelle progressioni. Capitano del Brasile più forte di sempre: Zico-Cerezo-Falcao-Sòcrates. Il goal all’Urss; quello a Zoff dopo un’invenzione di Zico. La bruciante sconfitta al Mundial 1982 contro l’Italia di Bearzot che non confutò una filosofia: «Noi siamo il Brasile, attaccheremo sempre, fino all’ultimo minuto». Il suo genio incantò tutti. Centosettantadue reti in circa trecento incontri, dal 1978 al 1984, e tre campionati paulisti vinti con il Corinthians.
I CAMPI IN SALITA
Firenze ricorda il suo sorriso potente, lo sguardo triste e l’eleganza. Dopo aver a lungo rifiutato offerte dall’estero; accettò l’esilio fiorentino. Un’annata sportivamente difficile. «Vado in Italia perché voglio crescere culturalmente. Mai accetterò una vita di accomodamento». Insomma scelse la Viola per il patrimonio culturale della città. Iervolino ha raccolto numerose testimonianze di quell’esperienza, tra cui quella toccante e spassosa di Giancarlo Antognoni: «Era stravolto dalla preparazione estiva in montagna, e mi disse: “Antogno, se dico in Brasile quello che faccio qui, nessuno mi crede. Ma in Italia i campi sono in salita?».
La cerveja è stata una compagna di strada fino alla morte prematura nel 2011, connessa all’abuso di alcool. Ma non ha intaccato la lucidità e la capacità di analisi. L’autore riannoda un’interessante serie di riflessioni del Doutor sull’ormai vicina edizione del Mondiale e sui mali del calcio contemporaneo. Le tensioni, già manifestate nella Confederation Cup 2013, rischiano di riaffiorare durante i Mondiali. La potenza calcistica brasiliana, come quella economica, pone interrogativi. La maggior parte dei cartellini dei calciatori del Brasilerao è in mano a fondi d’investimento che, a differenza dei club indebitati, possono sostenere le spese della principale fabbrica di talenti del pianeta. Gli stadi appaiono spesso semivuoti, a causa dei costi di biglietti, della violenza ultras e della carenza delle infrastrutture per il trasporto. «Le mie sono parole pronte a rinascere in altre voci. Perché se il mio corpo si è fermato, le mie idee possono continuare a fluire come il vento, che permette alla gioia e al dolore di condividere lo stesso spazio», appuntò il fuoriclasse anticonformista che indossava la maglia numero otto.