Valerio Cappelli, Corriere della Sera 25/5/2014, 25 maggio 2014
ALICE E LA CORSA FOLLE VERSO CANNES: NON MI ASPETTAVO QUESTO TRIONFO
DAL NOSTRO INVIATO CANNES — Alice nel paesino delle meraviglie, quello in cui vive vicino a Orvieto, non lontano da dove ha girato il suo secondo film, Le meraviglie . «Ma non voglio dare di me un’immagine non vera — dice Alice Rohrwacher — sono tornata a vivere in campagna solo per la lavorazione del film. Ero lì quando mi hanno telefonato per dirmi che avevo vinto qualcosa, ma non sapevo che fosse il Grand Prix. Era pomeriggio, raggiungere Cannes è stato complicato, ma per fortuna stavo già andando in treno a Roma e da lì sono andata direttamente in aeroporto. Ho preso al volo una maglietta di ricambio». Cosa le ha detto Sophia Loren dietro le quinte: «Brava». Che cosa rappresenta questo premio per l’Italia, dopo l’Oscar a Sorrentino? «I premi vanno sostenuti e danno coraggio. Questo film è stato prodotto da una piccola società al suo terzo progetto, le persone vengono prima di una storia che funziona».
Alice ha un volto spigoloso e irregolare, moderno e antico, è timida e lucida, la pelle color latte esalta i suoi modi miti e determinati allo stesso tempo. Ha già in mente il prossimo film: «Mi piacerebbe che ci fosse ancora Alba, ma non lo so, non parto mai da un attore». Dopo il debutto nel 2011 con Corpo celeste (alla Quinzaine), di nuovo a Cannes: «Non pensavo di essere in gara. Ho vissuto emozioni incredibili». Ha 33 anni, la sorella Alba, che come attrice, aveva raggiunto il successo prima di lei, 35. «Abbiamo un’aria simile perché simile è il nostro orizzonte di riferimento». Hanno litigato una sola volta, sul taglio dei capelli che Alba doveva avere nel film.
Alice è più contemplativa, ha cominciato come montatrice e documentarista, ha suonato la fisarmonica in un gruppo di rock balcanico, ha visto il primo film a 15 anni. La sua storia, in una dimensione fiabesca all’interno di dinamiche reali, mette in campo quattro sorelle e un padre che ha costruito un piccolo regno dove il silenzio è rotto da dialoghi brevi e dal ronzio delle api: una campagna senza contadini dove l’unico svago è il miele. «Ho raccontato un mondo rurale che conosco, una famiglia che somiglia alla mia, il padre apicoltore tedesco come il nostro. Tutto ciò non ne fa un film autobiografico. È un film molto personale, con personaggi che mi sono familiari». La figura del padre brontola, protesta, non spiega nulla ma ci fa capire tutto. «Non è un contadino e nemmeno un ex fricchettone. È a capo di una famiglia non classificabile, che vive in un territorio che viene azzerato, quando non si trasforma in agriturismo. Volevo raccontare un padre che sa quello che vorrebbe dire, ma non sa come dirlo. Ho immaginato che lui arrivasse in Italia subito dopo il 1968, ai tempi del sogno collettivo. Non volevo specificare l’ambientazione, volevo soltanto che fosse collocato dopo il ‘68, quando è successo qualcosa in Italia, e non prima. Ma le utopie sono finite e oggi si occupa dei campi in mezzo a tante difficoltà».
Il padre osteggia il desiderio delle figlie di partecipare allo scalcinato concorso televisivo presentato dalla fatina Monica Bellucci. «Sono cresciuta senza tv, e ancora adesso non ce l’ho. La tv italiana mi ricorda quello che si dice a certi studenti: è bravo ma non si impegna. La solitudine è una dimensione creativa. Quella che mostriamo è una tv dolce, prima della sua storia e del suo avvento». Ha saputo che la sua coprotagonista adolescente, Maria Alexandra Lungu, vuole tornare a vivere nella sua Romania: «Penso sia nell’età in cui tutti vogliono andare a vivere da un’altra parte».
Il titolo, Le meraviglie , rimanda a una fiaba. «Ma non c’è traccia di magia, i protagonisti sono persone comuni, non ci sono principi né castelli».