Danilo Taino, Corriere della Sera 25/5/2014, 25 maggio 2014
IMPRESE EUROPEE DIVISE A BRUXELLES
Le imprese, che se sono buone imprese devono sapere fiutare la congiuntura, anche quella politica, guarderanno con enorme interesse le elezioni di oggi. In Europa, però, non tutte con le stesse aspettative. Anzi, le analisi che fanno e le attese che nutrono sono così differenziate, a seconda del Paese, da fare pensare che durante gli anni della Grande Crisi gli obiettivi del mondo dell’industria e dei servizi si siano frammentate lungo linee nazionali, un po’ come è successo al sistema bancario e finanziario.
Sulla questione che è al centro delle elezioni di oggi — «più Europa» oppure «meno Europa» — le imprese tedesche che «non vogliono vedere un’ulteriore integrazione europea» sono aumentate in un anno del 12% , da un modesto 5% del 2013 al 17% di oggi; stessa tendenza per quelle francesi, salite dal 2 all’11% , per quelle olandesi, passate dal 10 al 26% . In Italia, al contrario, la quota delle imprese che non vorrebbero ulteriori passi di integrazione non solo è rimasta molto bassa ma si è addirittura ridotta, dal 4 all’1% . In un Paese, la Svezia, le aziende hanno addirittura ribaltato la propria opinione, con le contrarie a nuove forme di integrazione scese dal 55 al 14% . I dati sono il risultato di uno studio condotto su scala europea dalla società di servizi di consulenza Grant Thornton. Si tratta di tendenze divergenti che sono frutto di diversi fattori: raccontano però che le imprese europee stanno cambiando le loro strategie, le adattano al mondo del dopo crisi e nel farlo non vanno necessariamente nella stessa direzione. Non si tratta cioè di opinioni ma di richieste alla politica che riflettono letture diverse dei mercati e del clima di business.
In media, nell’Eurozona solo il 39% delle imprese vuole che l’euro sia adottato da altri Paesi. Ma la quota è del 24% in Germania, del 13% in Olanda, del 18% in Finlandia e sale al 41% in Francia, al 49% in Spagna, al 58% in Grecia, al 64% in Italia. Curiosamente, le aziende dei Paesi che hanno subito i maggiori colpi dalla crisi vorrebbero un’Eurozona più larga, mentre nei Paesi più solidi, al cuore dell’euro, vogliono che l’area della moneta unica non si ampli, probabilmente preoccupate delle tensioni sorte negli anni scorsi nella cosiddetta periferia. D’altra parte, l’idea di entrare nell’Eurozona non entusiasma le imprese dei Paesi che potrebbero aderirvi: tra il 2012 e il 2014 — sempre secondo Grant Thornton — nel Regno Unito le aziende favorevoli sono passate dal 12 al 16% ; in Svezia dal 28 al 32% ; in Polonia dal 64 al 49% ; in Danimarca dal 62 al 60% . Infine, l’idea di emettere Eurobond, cioè di mettere in comune i debiti pubblici: tra il 2013 e il 2014 , in media, nell’area euro perde favori, scende del 10% , al 55% . Ma in Italia sale dal 57 al 78% , in Francia dal 61 al 63% mentre in Germania crolla dal 32 al 22% .
Imprese divise, insomma, di fronte al voto: difficile parlare di Europa forgiata dal business.