Alessandra Coppola e Riccardo Rosa, Corriere della Sera 25/5/2014, 25 maggio 2014
IL NEO CAVALIERE NATO A TEHERAN CHE RESTITUÌ LA PAGA AI CASSINTEGRATI
MILANO — I suoi dipendenti sono «i miei ragazzi», qualunque età abbiano: «Sì, ho il complesso del padre». Gli italiani «sono come ostriche — ecco perché non è andato via —. È una metafora che uso spesso: il guscio fuori è brutto da guardare, difficile da aprire, ma contiene una perla di umanità e intelligenza». I valori «che guidano il nostro team» sono scritti sul sito: «Lealtà, coerenza, passione». L’impiegato ha un attimo di scoramento? «Abbiamo creato un giardino dei pensieri, può andare lì a rilassarsi, ascoltare la musica», le panchine, le calle, i tapis roulant, la vasca dei pesci rossi, le fontane.
Alì Reza Arabnia e l’impresa delle meraviglie. Fa notizia perché è un’eccezione tra i 25 Cavalieri del Lavoro appena nominati dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: è di origine straniera, nato a Teheran 59 anni fa, presidente della Geico, che fornisce alle aziende automobilistiche del mondo gli impianti per la verniciatura delle scocche. Ma ha avuto già il suo momento di ribalta per altre, più nobili, ragioni, raccontate dalla trasmissione Report nell’ottobre 2012: ha restituito ai dipendenti i soldi persi con la cassa integrazione. «Non ci dormivo la notte: lo sentivo come un debito. Togliere un pezzo di pane dalla tavola degli altri e dimenticarlo non è da me». Appena la società si è risollevata, allora, in busta paga sono arrivati gli arretrati. E a farlo sapere alla tv sono stati i sindacalisti, commossi.
Mai avevano visto nulla di simile, «eppure di imprenditori che fanno queste cose ce ne sono — si schernisce lui —, solo che spesso non lo sanno raccontare. Questo riconoscimento vorrei dedicarlo a loro». Soddisfatto? «Essere Cavaliere è un immenso onore. Dimostra anche che l’Italia non è razzista». Sorpreso? «Sapevo di essere stato candidato, ma non ci credevo: non sono nè di salotti nè di cose politiche...». Fuori dal solco, e con le parole per dirlo.
Dall’Iran, Arabnia è andato via a 21 anni. «Ho studiato Economia in Inghilterra», e lì ha conosciuto la moglie Laura, monzese. «Con lei sono venuto in Italia», all’Università americana John Cabot a Roma. Quindi si è specializzato negli Usa, a San Diego. E ha cominciato a girare il mondo. L’Oriente, l’Africa, la Scandinavia, «sono stato ovunque», base a Monza: «Ho un genuino amore per l’Italia, soffro quando la criticano».
La tempra e l’esperienza gli servono per far crescere Geico, ma soprattutto per salvarla dalla crisi, che nel 2010 diventa insostenibile: bisogna ricorrere alla cassa integrazione. Arabnia, però, la applica a modo suo. «Ho cominciato azzerando il mio stipendio, poi ho chiamato i dirigenti e ho spiegato che non potevamo sottrarci: tutti a casa il venerdì, e nessun licenziato». I vuoti di produzione li colma di formazione, ricerca, studio dei mercati: «Dovevamo essere preparati alla ripresa». Un anno e dieci mesi di «sudore freddo», poi la prima gara internazionale che cambia il corso: uno stabilimento Renault in Russia. Ora il gruppo di cui fa parte Geico (in posizione dominante) arriva a fatturare 1,8 miliardi di euro.
«È una persona speciale — dice Francesco Ferri, vice presidente nazionale dei giovani industriali e suo socio —, con un forte intuito imprenditoriale. Applica al lavoro uno spirito d’abnegazione giapponese, non a caso è appassionato di storia dei samurai. E crede nei giovani». Di nuovo, contro corrente.
«Prendiamo ogni anno cinque neolaureati in stage pagati», continua Arabnia. Contratto a termine di un anno, esperienze internazionali, assunzione. «Se ogni grande impresa facesse così, sarebbe un contrasto vero alla disoccupazione». Qualcuno finora ha aderito? «Nessuno. Ma spero che sperimentino questo progetto: è una grande soddisfazione».