Luigi Offeddu, Corriere della Sera 25/5/2014, 25 maggio 2014
DAL PRESIDENTE UE FINO AL MUTUO CHE COSA È IN GIOCO DENTRO L’URNA
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — Si scherza spesso sull’Europa che misura i cetrioli, o controlla la qualità delle banane. E lei, l’Europa, a volte se lo merita. Ma il voto di oggi, forse come non mai, non è uno scherzo: avrà effetti seri, e diretti, sulla vita quotidiana di mezzo miliardo di cittadini, quasi 60 milioni dei quali italiani.
Primo. Fra pochi giorni o poche settimane ci troveremo davanti un nuovo interlocutore al vertice della Commissione europea. Sarà espresso per la prima volta dall’Europarlamento neo-eletto, e sarà un segno finora inusitato di democrazia nella Ue (anche se bisogna essere realisti: gli accordi e gli equilibri di forza fra i governi, Germania e Francia in testa, tracceranno quasi sempre la strada maestra).
Al nuovo presidente della Commissione, e ai suoi colleghi, l’Italia darà assicurazioni e chiederà risposte come già fatto con i loro predecessori: possiamo allargare un poco i cordoni del deficit? («mai chiesto», giurano a Roma, ma a Bruxelles c’è chi dice di aver sentito molto bene); oppure: «il pareggio di bilancio lo faremo nel 2016»; o ancora: «i fondi per i bonus da 80 euro ci sono, la copertura è assicurata anche per il 2015 e oltre» (ma a Bruxelles allignano i san Tommaso, cioè gli increduli, e non si può far finta che non esistano). Le risposte dipenderanno naturalmente da chi siederà nella poltrona del neopresidente: se sarà il popolare Jean-Claude Juncker, o il socialista Martin Schulz o il liberaldemocratico Guy Verhofstadt, Roma dovrà giocare carte diverse. Ma in ogni caso, dovrà ricordare per esempio che Schulz e Junker sono entrambi — pur lontani fra loro ideologicamente — vicini ad Angela Merkel. E dovrà forse evitare proclami come quelli delle ultime settimane: «Andremo in Europa a spiegare le nuove regole...». Anche perché in quella stessa nuova Commissione avremo anche noi un commissario, e dal primo luglio avremo anche la presidenza di turno della Ue, per sei mesi: grandi occasioni, grandissimi rischi se prevarranno solo le parole.
Forse questa sarà anche l’occasione per (ri)apprezzare quanto la vituperata Ue ha saputo darci: se non ci occorre più un mutuo in banca per pagare una telefonata fatta mentre stiamo all’estero, è merito della Ue e non certo di questo o quel governo; se l’Internet a banda larga si diffonderà sempre più liberandosi dalle pastoie attuali, lo dovremo soprattutto alle sollecitazioni della Ue; se certe compagni aeree private non ci faranno più pagare come extra anche uno starnuto, bisognerà ringraziare la Ue e non un singolo governo.
Ma prima di tutto questo, oggi, stanotte, c’è la questione politica del voto «anti». Molti sondaggisti prevedono ovunque un’impennata di schede euroscettiche, o anti-europeiste, addirittura fino al 25-30% dei voti. Se questo avverrà anche da noi, e soprattutto se le schede euro-scettiche si combineranno all’astensionismo, cambierà probabilmente l’immagine che Bruxelles — a ragione o a torto — ha cucito addosso all’Italia. Già scheggiata dalla cavalcata di governi in una manciata d’anni, e dal bubbone del debito pubblico, quella stessa immagine potrebbe divenire ancor più inconsistente e perdere un altro poco di quello che la Ue le chiede: la stabilità. Parola a volte derisa a Roma, ma presa molto sul serio a Bruxelles. Meno stabilità, anche se solo esteriore, vorrebbe dire meno possibilità che la futura Commissione europea si fidi di noi: e che creda a quelle assicurazioni di cui si parlava prima. Però bisognerà anche ricordare, almeno per una volta, ciò che qui a Bruxelles o a Strasburgo si vede e si sente benissimo: ben più che le parole di Grillo, un altro fattore ha eroso in questi anni nella Ue la nostra immagine, e si chiama corruzione. Negli ultimi giorni, la rassegna stampa con le cronache dell’inchiesta Scajola dominava sulle scrivanie di molti corrispondenti stranieri, e di altrettanti funzionari Ue. Per non parlare, nei giorni precedenti, del caso Expo 2015.
Ma quanto conterà e che cosa potrà fare davvero, ammesso che certe previsioni si avverino, l’ondata populista nella Ue? Sarà tutto da vedere. Perché l’inno grillino, «uno vale uno», trova ai vertici della Ue una traduzione opposta: «uno è nessuno», e «28 sono 28» nel senso di Paesi: nelle materie più importanti vale la regola dell’unanimità fra i governi. Nella tassazione, nella sicurezza e nella protezione sociale, nell’adesione di nuovi Stati alla comunità, nella politica estera e di difesa, si decide tutti insieme. Il che vuol dire anche che uno può bloccare tutti, con un bel veto: ma non è forse questo, il vero obiettivo di Marine Le Pen, o di Nigel Farage, e dei loro alleati. Ben più pragmatici di quanto appaiano, ripetono: vogliamo cambiare l’Europa. E: via dall’euro. Ma sanno bene che, per cambiare l’Europa, bisognerà prima governarla, cioé negoziare per averne il governo. E anche per uscire dall’euro (ma sarebbe in ogni caso impossibile, restando nell’Ue, a meno di non stracciare i Trattati europei), non basterà un grido solitario. Fra poche ore si aprono le urne, stanotte sapremo tutto. E questa volta, non è uno scherzo.