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 2014  maggio 25 Domenica calendario

ASCESA E CADUTA DEL MAGRO CHE PRESE LA BANCA A SPALLONI


«Scarsa lingua di terra che orla il mare, / chiude la schiena arida dei monti; / scavata da improvvisi fiumi; morsa / dal sale come anello d’ancoraggio; / percossa dalla fersa…». Così Camillo Sbarbaro sulla Liguria, oggi percossa più che mai dalla fersa, la sferza degli scandali. Prima l’ex ministro di Forza Italia Claudio Scajola, il ras del Ponente (inchiesta Matacena), poi l’arcivescovo emerito di Genova Tarcisio Bertone (inchiesta Ior), ora Giovanni Berneschi, ex presidente della Banca Carige. Genova, «che ha i giorni sempre uguali», sta vivendo il suo peggior periodo, i vecchi potentati tremano.
Protagonista principale di questa storia di «maneggi» è l’attuale vice presidente dell’Abi (che giovedì sarà sostituito) Berneschi, 77 anni, padre-padrone di Carige, la più importante banca della Liguria. I vecchi genovesi la chiamano ancora «la Casana», termine orientale che significa «tesoro» con cui veniva chiamato l’antico Monte di Pietà («a casann-a»).
Carriera tutta interna quella di u sciu Berneschi, da impiegato («quando mi assunsero si parlava in dialetto») dell’allora Cassa di Risparmio di Genova e Imperia a dirigente, a direttore generale, a presidente. Adesso è agli arresti domiciliari: c’era il sospetto che potesse riparare in Svizzera, «dove dispone di ingenti capitali e persino di una casa a Lugano».
L’accusa nei confronti di Berneschi, in codice «il Magro» (una vaga somiglianza con Gilberto Govi), dell’ex amministratore di Carige Vita Nuova Fernando Menconi, detto «Testa di pera», e di cinque tra professionisti e imprenditori è di aver sottratto per anni alla banca ingenti somme (in gergo «le ragazze») attraverso le acquisizioni di immobili e partecipazioni societarie a prezzi gonfiati.
Tra le accuse anche associazione a delinquere, riciclaggio e intestazione fittizia di beni. Dalla Lanterna, attraverso una rete di spalloni, sono stati portati in Svizzera 22 milioni, con cui è stato comprato un hotel. Come diceva ancora Sbarbaro, «il danaro ha azione cumulativa: se non si smaltisce volta per volta, intossica».