Matteo Persivale, Corriere della Sera 24/5/2014, 24 maggio 2014
CHE COSA CI FA PAURA?
Negli istanti finali del nuovo film dedicato a Godzilla — sta sbancando il botteghino globale con quasi 200 milioni di euro incassati in una settimana, primo ovunque tranne in Corea del Sud dove eroicamente resiste in testa alla classifica un thriller erotico di matrice autarchica, In-gan-jung-dok — il gigantesco lucertolone radioattivo che ha appena messo k.o. a colpi di fiatone atomico mostri più brutti, pericolosi e cattivi di lui, rinviene scrollandosi di dosso pezzi di grattacielo. Emette un ruggito per poi tuffarsi ventralmente nell’oceano e inabissarsi, la città di San Francisco semi demolita ma invitta — e grata — all’orizzonte. A questo Godzilla (nato 60 anni fa come versione asiatica di King Kong e metafora del terrore nucleare vissuto sulla pelle dai giapponesi bombardati nell’estate del 1945) mancherebbe solo il bandierone e l’inno americano in sottofondo per arruolare la lucertola mutante tra i marines. Appuntandone sul carapace — pellaccia dura da emulo di John Wayne — una medaglia al valor militare.
Al di là dello scetticismo dei critici su questo film — i kolossal basati sugli effetti speciali fanno raramente un punto di forza della sceneggiatura, e il botteghino dà loro ragione — Godzilla conferma l’evoluzione di un fenomeno in atto da decenni, già tristemente noto ai fan dell’horror: non ci sono più i mostri di una volta.
Al cinema come in libreria: se da una parte il seguito di Shining uscito l’anno scorso, Doctor Sleep (Sperling & Kupfer), ha rassicurato chi stima Stephen King perché è un bel libro che non oltraggia la memoria dell’inimitabile originale, dall’altra è evidente come King abbia ormai altri interessi che vanno oltre la paura. L’agghiacciante Jack Torrance dell’originale — Jack Nicholson nel film di Kubrick peraltro poco amato da King, che l’ha sempre trovato dozzinale — ci terrorizzava con l’aiuto di fantasmi così completamente, oscenamente cattivi da essere anche razzisti.
In Doctor Sleep invece, i mostri del «Vero Nodo» che danno la caccia ai bambini con il potere paranormale della «luccicanza», lo «shining», sono semi-immortali ma stanno per morire, di vecchiaia, decrepiti. King ci aveva appena raccontato andando indietro nel tempo il delitto Kennedy a Dallas, 1963, e ora la paura per lui fa un po’ meno di novanta, ormai (chi cerca brividi tipo Pet Sematary farebbe meglio a leggere il figlio di King, Joe Hill).
Il mito di Frankenstein , nato nel 1818 dalla fantasia di Mary Shelley che — erano altri tempi — all’alba della rivoluzione industriale ci avvertiva dei pericoli della tecnologia, non si è più ripreso dalla comicità surreale di Mel Brooks che un quarantennio fa ci ha regalato Frankenstein Junior : due anni fa Frankenstein è tornato, nel West End londinese, a teatro, ma la massima curiosità del pubblico della pièce stava nel cercare di intravedere la nudità del protagonista, il Benedict Cumberbatch di Sherlock , 12 anni schiavo e di innumerevoli copertine di riviste di moda maschile.
Dracula? Chissà cosa avrebbe pensato lo spaventoso Nosferatu di Murnau vedendo i vampiretti di Twilight , romantici e recalcitranti dissanguatori di animali pur di nuocere agli umani. Belli come fotomodelli, arruolati nelle campagne dei profumi firmati, riassunti con classe dal poeta Frederick Seidel sul New Yorker con i versi «È tutto molto strano a New York / I vampiri teenager sono l’ossessione dei teenager / Bocche di rosa che non usano coltelli e forchette», nella poesia «Rain» sulla crisi finanziaria del 2008 nella quale a fare spavento erano gli indici di Borsa più che i nipotini di Dracula (invenzione tardo-vittoriana di Bram Stoker).
Il povero King Kong ormai, pioniere dei mostri cinematografici, se venisse di nuovo preso a mitragliate dai caccia, verrebbe giustamente difeso dagli animalisti, e dopo quell’11 settembre con gli aerei pilotati dalla crudeltà umana contro i grattacieli, il gorillone innamorato senza speranza di una bionda che si arrampica sull’Empire State Building senza neanche rompere una finestra ci appare semplicemente come l’ennesimo innamorato senza speranza delle commedie romantiche hollywoodiane, in attesa di un bel mascelluto che gli rubi la fidanzata — semplicemente, in ultima analisi, un’altra versione della solita vecchia storia.
Resistono, paradossalmente dato il passo incerto e la camminata traballante, gli zombie: i morti viventi ci spaventano in tv («Walking Dead») e nei videogame, Einaudi Stile Libero ha anche tradotto l’utile Manuale per sopravvivere agli zombie di Max Brooks, figlio di Mel (quello di «Frankenstein Junior») e autore anche di World War Z dal quale è stato tratto il film con Brad Pitt.
Resistono, certo, i mostri spaziali: dal 1979, quando Alien li ha lanciati nei nostri incubi — con l’aiuto dell’immaginazione di H.R. Giger — fino al Prometheus di due anni fa, l’alieno assassino fa sempre paura. Ma non è una coincidenza se quando l’anno scorso Entertainment Weekly ha stilato la classifica dei venti film più spaventosi di sempre, ha vinto ancora una volta Shining , dove il mostro più terribile è disperatamente, tragicamente umano: un padre etilista che rincorre il suo bambino spaventato.