Goffredo Buccini, Corriere della Sera 24/5/2014, 24 maggio 2014
QUEI 188 NEONATI CON LA TUBERCOLOSI E LA GUERRA DELLE PERIZIE IN TRIBUNALE
Sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire ... Sin dall’inizio ha avuto ritmi manzoniani questo pasticciaccio del policlinico Gemelli: la grande paura dell’estate 2011, quei 188 bambini del nido forse infettati dalla tubercolosi, una povera infermiera nei panni dell’involontario untore, la fila struggente delle mamme e dei papà coi neonati in braccio sotto la statua bianca di Wojtyla a cercar l’aiuto del papa santo prima del test che poteva decidere incubo o salvezza per i piccini. E adesso, a ben due anni dall’incarico ricevuto, con manzoniana cautela i consulenti del tribunale — già minacciati di sanzioni dalla gip Rosaria Monaco per una lentezza «degna di censura» — spiegano in incidente probatorio una perizia di cui nelle settimane scorse già parecchio si sapeva e che in sostanza batte sulle «omissioni» dei nove indagati (medici e amministrativi) ma getta un grande salvagente al Gemelli sull’epidemia colposa, il reato più grave, tanto da indurre l’avvocato del policlinico, Gaetano Scalise, a proclamare che «non ci fu proprio nessuna epidemia». La faccenda si ridurrebbe insomma all’infermiera che portò il bacillo in corsia, a una bambina di cinque mesi che sviluppò la malattia e al panico di tanti test sbagliati. Il morbo è vinto, il male esorcizzato, zittiti i calunniatori? Forse è presto per i peana.
Con una mossa a effetto, il Codacons di Carlo Rienzi (parte civile per una trentina di famiglie) butta in scena a tempo scaduto una controperizia sconcertante sulle lastre ai polmoni di una sessantina di bambini: undici mostrerebbero, secondo l’infettivologo Emilio De Lipsis e il radiologo Riccardo Calimici, «calcificazioni, focolai, linfonodi, opacità e tumefazioni»; insomma uno su sei si porterebbe addosso le tracce della tubercolosi. Con una conclusione raggelante: «Dato che non vi è guarigione del tessuto malato, ma formazione di una cicatrice, si è prospettata la possibilità, ancora non una vera certezza, di una trasformazione cancerosa della lesione». Sorprendente è la distanza tra le valutazioni: per dire, di cinque casi a grave rischio secondo i periti Codacons, tre non mostrano nessuna evidente lesione secondo i consulenti del tribunale, uno sfugge perché il piccolo paziente non si presenta ai loro test e uno è da rivedere. «Davanti al giudice i consulenti hanno ammesso che non avevano guardato le lastre, solo letto i referti. Inoltre tra loro non c’era un radiologo e nulla era stato chiesto dal pm sulle radiografie: questo ci hanno spiegato», sostiene Rienzi. Che, arrivando troppo tardi per fare acquisire le sue perizie dalla gip Monaco («solo martedì ci hanno dato accesso alle radiografie dei bambini»), si è rivolto di nuovo al pm Alberto Pioletti, inoltrandogli le carte e chiedendogli di valutare «la falsità dei referti». Accusa indigesta per una struttura che è salotto della sanità romana ed eccellenza nazionale («questo è il Vaticano numero tre, dopo San Pietro e Castel Gandolfo», diceva Wojtyla, che a questi medici s’affidò più volte). «Non sarà questo il D-day del Gemelli, non sarà questa storia a metterci al tappeto, la perizia di quel Rienzi non sta neanche nel processo per ora», mormora un decano di queste corsie: il desiderio di buttarsi infine tutto alle spalle è palese e in fondo comprensibile. Eppure qualcosa sulle lastre deve essere sfuggito davvero ai tre esperti del tribunale, se perfino l’avvocato Scalise ammette: «Alcune le hanno guardate, di altre hanno solo visto i referti, d’accordo, ma non c’era nulla che accendesse i loro sospetti. Siccome se avesse ragione Rienzi sarei il primo a essere preoccupato, ho chiamato un radiologo e gliele ho mostrate. Mi ha detto che è tutto a posto». E lei ha depositato il parere? «Io non ho motivo di produrre nient’altro». Cioè, se l’è fatto dire così, a voce? «Senta, quella di Rienzi è una sciocchezza: tentava di non far chiudere l’incidente probatorio a noi favorevole». L’avvocato, ad abundantiam , si infila anche nei panni del difensore dei consulenti ritardatari rampognati dalla giudice, putacaso qualcuno insinuasse che facevano melina: «Uno di loro ha avuto problemi di salute, l’hanno detto in aula. E poi non è uno scherzo rivedere tutti quei bambini».
Giulia Bongiorno non la pensa allo stesso modo. Oltre ad essere una delle penaliste più famose d’Italia, è mamma di Ian (dono di Dio , in ebraico), nato al Gemelli il 22 gennaio 2011, proprio quando nel nido stava scoppiando il putiferio. Ian è stato infatti uno dei quasi 1.500 bambini sottoposti ai test: s’è scoperto che era sano come un pesce. Ma la Bongiorno ha preso a cuore la faccenda, molte famiglie si sono rivolte a lei e ancora adesso lei ne rappresenta in giudizio una quarantina. Spiega che, siccome i figli ci danno la misura del tempo, s’è accorta un bel giorno che Ian aveva ormai fatto tre anni e della perizia tante volte promessa non c’era ancora traccia. Da qui le istanze alla gip Monaco. «Infine l’abbiamo letta. E siamo molto preoccupati. Perché c’è scritto chiaramente che in quella struttura l’infermiera ha potuto trasmettere la tubercolosi a tantissimi bambini, il rischio riguarda centinaia di piccoli». La Bongiorno apre a pagina 320, evidenzia in giallo una frase che fa paura: «...coloro che non sviluppano la malattia tubercolare, nel periodo immediatamente successivo l’infezione, rimangono a rischio di malattia». L’avvocato Scalise smentisce anche questo, «hanno detto piuttosto che il test iniziale era sballato» e un po’ cinicamente qualche dottore di lungo corso alza le spalle: «Tutti possiamo ammalarci di tubercolosi». Già tutti, ma non necessariamente i bambini appena nati nel più rinomato policlinico italiano. La partita appare ancora aperta, ora la parola torna al pm che dovrà decidere per quali indagati chiedere il rinvio a giudizio e, soprattutto, per quali reati. Fu un’epidemia mediatica? Fu un abbaglio collettivo? Isteria da untori, come nella Milano di Renzo e Lucia? E, se davvero fu solo questo, chi chiede scusa ai tanti bambini sottoposti inutilmente alla terapia contro il morbo? Molte mamme e molti papà sono decisi a non mollare, in questa storia dove è forse sbagliato revocare in dubbio la reputazione di un grande ospedale ma è certo sacrosanto interrogarsi sui modi e i tempi per spiegare le cose ai cittadini, ai non addetti ai lavori, a quelli fuori da ogni cerchio o circoletto magico. Non tutti hanno dimenticato i toni di Renata Polverini, allora presidente d’una Regione in procinto di crollare sotto gli scandali: «Bisognava evitare allarmi ingiustificati». Infatti per tre settimane passò la consegna del silenzio, mamme e papà continuarono ignari a lasciare nel nido i bambini. Sopisci oggi, tronca domani... poi finisce che la gente s’arrabbia.