Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 24/5/2014, 24 maggio 2014
E FITTO DIVENTÒ «BACIA BACIA» PER CONTENDERE A TOTI L’EREDITÀ DI FORZA ITALIA
Toti l’eredità di Forza Italia L’intensa campagna elettorale dell’esponente azzurro che a 44 anni fa già politica da un quarto di secolo «Ho fatto manifestazioni enormi. Piazze pienissime. Folle oceaniche. Ho stretto decine di migliaia di mani. Distribuito migliaia di baci…». Altolà: cos’è questa storia dei baci? Non si era sempre detto che Raffaele Fitto era un tipo tutto «perfettino» sempre con la giacca giusta, la camicia giusta, la cravatta giusta, gli alleati giusti, il discorsetto giusto ma freddo come un ghiacciolo rispetto alla traboccante calorosità esibita dagli altri politici meridionali?
«Ma no, ma no… Sto facendo quello che faccio sempre. La mattina i mercati poi visite di luoghi di lavoro, pranzi elettorali, convegni pomeridiani, comizi e avanti così fino alla sera tardi. Viaggio di notte, alle due e mezzo o tre mi fermo per la tappa successiva, dormo qualche ora e ricomincio». Eppure l’immagine di «Raffaele vasa vasa», e cioè «Raffaele bacia bacia», è una novità assoluta: costretto a cambiare strategia? Ride: «Ma no, ma no…». Ma sì, ma sì… E ride ancora…
Il fatto è che per il «Bambino», come lo chiamano da quando aveva da poco finito il liceo scientifico e fu buttato in politica da mamma Leda dopo la morte in un incidente stradale di papà Salvatore detto «Totò», presidente regionale, questa è la campagna elettorale più difficile. Più della prima, quando a vent’anni («grazie a un buon lavoro tra i giovani e a un’ondata emotiva per la morte di papà») raccolse alle Regionali 75 mila voti stabilendo un record. Più della seconda, premiata con la nomina ad assessore regionale al Bilancio («telefonai al professore che ogni estate mi aveva dato ripetizioni di matematica perché a scuola ero un disastro in matematica e ci facemmo due risate») e vicepresidente. Più della terza quando fu eletto a Bruxelles e poi della quarta quando diventò governatore e perfino di quella in cui venne battuto da Vendola o delle Politiche 2013 in cui fu bastonato poco prima del voto da una condanna in primo grado a quattro anni per mezzo milione («condanna ingiusta: fu un contributo politico») ricevuto dal gruppo di Giampiero Angelucci.
Più difficile perché il «Bambino», che a 44 anni si ritrova ad aver già passato un quarto di secolo in politica, deve condurre stavolta cinque campagne elettorali insieme. La prima, scontata, è quella per tornare al Parlamento Ue. La seconda è contro i fuoriusciti del Nuovo centrodestra a partire da Angelino Alfano: «Gente che è stata premiata e ha ricoperto ruoli di grande rilevanza senza aver mai avuto lo straccio di un confronto elettorale e che in un momento di difficoltà, anziché testimoniare la loro lealtà nei confronti del nostro leader Berlusconi, delle nostre idee, dei nostri programmi, se ne sono andati da un’altra parte». La terza è per dimostrare (e può farcela solo con una valanga di voti…) che aveva ragione lui quando sosteneva la tesi che tra i flutti di questo mare in tempesta era giusto puntare sui big del partito, tesi un po’ invisa a Berlusconi timoroso di una guerra delle preferenze interne.
La quarta campagna, si capisce, non la ammetterà mai: vada come vada il partito, che potrebbe andare davvero male, soprattutto al Sud, deve portare a casa il bottino più sostanzioso di tutti per affermare di essere lui, e non Giovanni Toti, il possibile erede del Cavaliere. Era o no lo stesso Silvio a dire «Raffaele è la mia protesi»? Ecco, il gioco è dimostrare d’essere il prolungamento del leader ma allo stesso tempo di avere una forza propria. E così, per parafrasare Enrico IV, se Parigi val bene una messa, l’eredità di Arcore val bene un «vaso». Anzi, anche centomila baci…
La più complicata però è la quinta campagna elettorale. Mica facile, nel momento massimo dell’offensiva grillina e in genere dell’antipolitica contro i politici di mestiere, soprattutto nel Mezzogiorno, andar a chiedere i voti con una storia come la sua. La storia di un uomo che non ha fatto un lavoro tradizionale per un solo minuto della sua vita, che è passato direttamente dai banchi del liceo ai banchi del consiglio regionale, che a meno di trent’anni era già deputato a Roma e a Bruxelles e che ha detto d’aver «sempre respirato politica in famiglia» e di «avere seguito già a 16 anni tutta la campagna elettorale di papà dai comizi ai volantini, fino all’affissione dei manifesti»…
Mica facile, soprattutto, cancellare con un reset qualche intervista in cui rivendicava orgogliosamente una visione del mondo opposta a quella sventolata oggi da tanti concorrenti: «Per me la politica è una professione; credo di avere le capacità per fare dell’altro, però è questo che mi piace» di più. «A 19 anni, dichiarai che avrei fatto il presidente della Regione Puglia»...
E allora, via sempre più spesso la cravatta che gli amici dicevano portasse «anche con il pigiama». Via l’immagine troppo seriosa. Via (almeno in parte) la propaganda tradizionale per dare più spazio a Facebook, a Twitter, al lifting on line del curriculum: «Non è vero che sono cresciuto a pane e politica. Ho avuto un’infanzia e un’adolescenza simili a quelle di tantissimi altri ragazzi. La scuola, il calcio, la motocicletta, gli amici, le ragazze, il paese, i viaggi. È vero. Di tanto in tanto seguivo mio padre nei suoi impegni politici e di partito. Che il mio futuro potesse essere la politica l’ho pensato solo quando lui è scomparso…».
Riuscirà a vincere tutte e cinque le campagne parallele? Quella coi fuggiaschi del Ncd è convinto di sì: «Erano nati coi sondaggi che li davano al 12 percento. Poi li ho visti via via scendere, scendere, scendere… Sono percorsi che abbiamo già visto altre volte. Gli elettori non premiano le persone sleali». Quanto a Forza Italia, il cui marchio è diventato una gran torta con scritto Forza Fitto, è pronto a scommettere contro i sondaggi più pessimisti: «Possiamo andare tranquillamente oltre i voti del 2013». Tranquillamente? «Tranquillamente».
E spiega a tutti che occorre «dire basta al Sud piagnone» e che è necessario «spendere in maniera diversa i fondi europei concentrando gli sforzi su poche, grandi opere» come lui sarebbe riuscito a fare «se non fosse stato buttato giù il governo Berlusconi con una operazione finalmente confermata oggi da testimoni come l’ex segretario al Tesoro Timothy Geithner o Luis Zapatero» e la necessità di «difendere fino in fondo la storia» del Cavaliere e della destra berlusconiana…
Quanto alla sfida interna con Giovanni Toti, che stoppò a gennaio spiegando che «è un’ottima persona e un bravo giornalista ma non è il capo di Forza Italia», allarga un sorriso panoramico: «Non c’è nessunissima sfida. Siamo amici. Fedeli allo stesso leader. Quando abbiamo organizzato l’immensa manifestazione con tutti i capilista è venuto a Bari e tutti insieme…». E vedi che il «Bambino» è rimasto quello di sempre. Quello che a Vittorio Zincone, che gli ricordava come Umberto Bossi lo considerasse «un democristianone», rispose «semmai un democristianino»…