Maurizio Crosetti, la Repubblica 24/5/2014, 24 maggio 2014
RAHN, MIRACOLI E PILLOLE COSÌ NACQUE LA GERMANIA QUEL SINISTRO CHE CHIUSE LA PARENTESI UNGHERIA
[Svizzera 1954] –
La chiamavano Aranycsapat: vuol dire squadra d’oro. Chi la vide, non ebbe mai dubbi: quell’Ungheria, la “Grande Ungheria”, era la macchina di calcio più bella di ogni tempo, maestra di tecnica e ancor più di tattica. Però non vinse il mondiale, come non lo avrebbe vinto l’Olanda di Cruyff. Non sempre chi cambia lo sport si prende anche il mondo.
Colpa, forse, di Fritz. O di suo fratello Ottmar. O del Pervitin. O, forse, del Redoxon forte. Colpa, certo, di Helmut. Colpa di quanto accadde, tutto insieme, il 4 luglio 1954 a Berna, “il miracolo di Berna”: Germania Ovest-Ungheria 3-2. Dopo otto minuti, i tedeschi perdevano due a zero, ma niente finisce finché, appunto, non finisce. Quella volta, per sempre, finì l’Ungheria.
(Fritz Walter, il capitano. Da bambino la malaria lo aveva quasi ucciso, da grande non sopportava la luce diretta del sole: però quel giorno, a Berna, pioveva buio dal cielo insieme al diluvio, e Fritz nella tempesta ci vide benissimo).
(Ottmar Walter, centrattacco, fratello di Fritz, tre schegge di ferro nel ginocchio, ricordo della Grande Guerra: lui non le sentiva, dicendo semplicemente di non pensarci).
Fu il primo mondiale trasmesso dalla tivù, così il calcio entrò negli occhi di tutti come sfondando una porta, e ancora non ha smesso. Fu il primo mondiale con i numeri di maglia personalizzati dall’1 al 22. E fu il mondiale in cui gli azzurri capirono di avere perso talento: si votarono dunque al catenaccio, a una difesa da poveri, e furono eliminati senza gloria dalla Svizzera.
(Il Pervitin è lo stimolante iniettato nelle vene dei soldati tedeschi durante la seconda guerra mondiale, per trasformare il terrore in furia).
(Il Redoxon forte ha una base di acido ascorbico, e il potere di non far sentire la fatica).
Gli ungheresi non potevano perdere: avevano segnato 27 reti in cinque gare, eliminando anche Uruguay e Brasile, le finaliste del “Maracanazo” di quattro anni prima, e avevano già battuto i tedeschi per 8-3 nella fase a gironi. Erano la squadra pazzesca di Puskas, Czibor, Boszik, Hidegkuti. Avevano umiliato gli inglesi, imbattuti in casa da novant’anni, con un 6-3 a Wembley. La più grande meraviglia mai apparsa fino a quel giorno su un campo di pallone, più del Brasile, più di chiunque.
(Helmut Rahn, ala destra, potentissimo. In finale aveva già segnato il gol del 2-2. Al minuto 84 gli passa la palla Schaffer, lui evita in dribbling Lorant e tira una stangata sulla destra del portiere Grosics: ci sono gesti che chiudono e aprono epoche di decenni in dieci secondi).
Mai l’inno della Germania Occidentale si era ascoltato in un’arena sportiva, figurarsi dopo la guerra. Mai si sarebbe più ascoltato quello ungherese.
Si scrisse che tutti i tedeschi erano dopati, e che il governo di Budapest si fosse venduto la partita in cambio di una fornitura di trattori, e che un arbitro corrotto, Ling, inglese, avesse per questo annullato il gol valido di Puskas al 90’, e che inservienti tedeschi avessero inzuppato apposta il campo, per negarlo al talento ungherese.
Perché la storia è così, ci sono le luci e ci sono le parentesi, ci sono le esattezze della cronaca e il mistero dei sottofondi. Il calcio tedesco, da quel giorno, non sarebbe più scomparso. Ma quasi tutta quella squadra si ritrovò il giorno dopo la finalissima in ospedale, con l’itterizia e il fegato enorme. Otto, Fritz, Helmut. Dentro il buio di un pomeriggio, e della storia.
Maurizio Crosetti, la Repubblica 24/5/2014