Giuseppe Videtti, la Repubblica 24/5/2014, 24 maggio 2014
KYLIE MINOGUE
Quando uscì Grèase desiderò ardentemente di essere Olivia Newton-John. «Quel film diventò la mia ossessione», confessa Kylie Minogue, la diva pop australiana che allora aveva dieci anni, mentre si prepara ad andare in scena in una puntata di Amici, il talent di Maria De Filippi. «Ma ero volubile, subito dopo cominciai a stravedere per gli Abba. Volevo diventare come loro, ma erano sogni proibiti. Chi aveva il coraggio di dire alla mamma: voglio fare la cantante o l’attrice? Mio padre era il signor 2+2=4, un contabile. Per cui pop = giardino degli orrori. E aveva ragione. Era ed è un posto insidioso per una ragazza. E, mi creda, scomodo anche per una donna di quarantasei anni come me. Già da un po’ hanno cominciato a chiedermi: ha intenzione di ritirarsi?». Più che mai dopo gli ultimi, malinconici mesi, quando si è sparsa la notizia della rottura con il modello spagnolo Andres Velencoso (una relazione durata cinque anni). «Glielo leggo in faccia a quelle giornaliste dei tabloid avide e intrusive: Kylie la zitella. A me va anche peggio di Cher e Madonna, perché non ho figli, dunque incarno alla perfezione lo stereotipo».
Kylie, che ha da poco pubblicato Kiss me once , il dodicesimo album di studio in ventisette anni di carriera, non è meno bella e sexy di quando cantava Can’t get you out of my mind ; il trucco è più pesante ma le gambe lasciate generosamente scoperte dal miniabito silver sono ancora quelle della diciannovenne di The locomotion. «Allora mi dicevano che gli artisti non invecchiano mai, io ci ridevo su», esordisce. «Poi sono rimasta anch’io intrappolata nella tela. Devo sempre fare uno sforzo per ammettere che il tempo passa. Che sono invecchiata lo leggo negli occhi degli altri. Insieme a un paio di altre domande: quanto le resta? zitella a vita?». L’ha sempre ammesso, non ha mai avuto la vocazione di madre e di moglie, ha amato uomini affascinanti come Michael Hutchence, Zane O’Donnell, Stephane Sednaoui, Lenny Kravitz e Olivier Martinez, ma alla fine ha dedicato il meglio delle sue energie allo show business — non si vendono 70 milioni di dischi se non è il pubblico la tua priorità.
Quel briciolo di istinto materno che le resta è emerso nei talent show (The Voice, in Inghilterra e in Australia) in cui ha lavorato come coach. «Mi sono ritrovata a far da madre a cantanti in erba cui cercavo di insegnare un mestiere; un rapporto molto intenso», confessa. «E, proprio come succede tra madri e figli, il tuo cuore si strugge per il più debole, per quello che forse non ce la farà mai ad arrivare dove sei arrivata tu. Per me è stato una sorta di autoanalisi, un modo di guardarmi dal di fuori come non avevo mai fatto, di riflettere su quei momenti della vita decisamente privi di glamour: il lavoro, le prove, il trucco, le attese, la solitudine. Siamo abituati a farci riprendere solo quando il nostro mestiere è favoloso, sono quelle le immagini che appaiono su Instagram o Facebook o Twitter — la fatica è sempre poco attraente per il pubblico e negli sforzi titanici di quei ragazzi ho rivisto flash della mia vita sulla quale ormai anch’io, viziata dal successo, non mi soffermo più. I vip fanno sempre un lavoro di editing su se stessi e alla fine quasi inconsapevolmente si accomodano in una sorta di mondo parallelo che è una non-vita».
Kylie Minogue fu bruscamente strappata al palcoscenico nel 2005 quando le diagnosticarono un cancro del seno; intervento chirurgico, chemioterapia, un foulard per nascondere le conseguenze del trattamento. «Affrontai la sala operatoria con la stessa agitazione che mi assale prima di salire sul palco», ricorda. «Sembra paradossale ma provai la stessa sensazione ». La ripresa fu più veloce di quanto i fan si aspettassero. «Quando le tue giornate sono impegnate al cento per cento a far meglio, a sembrare più bella, a scegliere il top, a celare con cura i segni del tempo, i giorni bui si superano più in fretta, anche invecchiare è una realtà che cerchi di procrastinare di giorno in giorno», ammette. «Nel nostro lavoro non ci sono certezze. Di fronte agli impegni pressanti finisce che la vita privata diventa una bolla di cristallo sospesa e fragilissima — basta una mossa falsa e va in mille pezzi. Per questo molte donne della mia età restano aggrappate all’uomo che hanno. La paura è sempre quella di restare zitella.
La fine di una relazione è comunque disastrosa, rimette tutto in discussione; ma davvero conoscevo quell’uomo? Dove avevo la testa in tutti questi anni? Che farò adesso? Per mia fortuna questi sono anche buoni spunti per nuove canzoni. Di che parliamo, in fondo? Persone in cerca d’amore, innamorate, deluse. Mai come in questo momento sono grata alla mia professione; mi tiene la mente occupata in altre faccende e mi aiuta a schivare la depressione. Ma alla fine la speranza è sempre quella: incontrare un nuovo amore».
È stato un anno terribile, lo racconta anche nella canzone Into the blue . Ma ad ascoltarla e a
guardare i suoi video (Sexercise è una bomba, su youTube se ne sconsiglia la visione ai minori) sembra la Kylie di sempre. «Rimarrò schiava del mio ruolo? O mi aspetta un futuro come quello di Dolly Parton o Barbra Streisand?», mormora. «Non mi ero mai sentita vecchia prima d’ora. E tantomeno zitella. Il produttore Pharrell Williams è stato l’unico che è riuscito a farmi capire che nemmeno per un sex symbol la vita finisce a quarant’anni. Ho avuto un crollo nervoso in studio, una specie di attacco di panico. Non ci eravamo mai incontrati prima e sono scoppiata a piangere tra le sue braccia. E proprio in quel momento disperato della mia vita mi ha regalato I was gonna cancel, la canzone più ottimista del nuovo cd. Ero a terra, mi dicevo: non arriverò alla fine dell’anno. La notte di San Silvestro sono rimasta sola a casa, non l’avevo mai fatto prima, ma avevo bisogno di riflettere, e mi ha fatto bene. E ora eccomi qua, zitella. È un problema? Sì e no. È un sollievo? Sì. Alla fine resto una romantica e spero che un giorno o l’altro si manifesti il principe azzurro. Ma penso anche a quante ne ho passate, agli amici che si azzuffano ogni giorno, a quanti si mettono nelle mani di divorzisti aggressivi… e allora la mia vita da single mi sembra un paradiso. Nella carriera è lo stesso: quando hai conosciuto il top fai fatica ad accettare i down. Lo so, un giorno i riflettori si abbasseranno. E allora vorrò essere come Blossom Dearie (1924 — 2009); l’ho incontrata poco prima che morisse — ottant’anni e ancora sul palcoscenico di un piccolo club newyorkese con la borsetta in mano. Ecco, il jazz è una buona soluzione per sopravvivere».
Giuseppe Videtti, la Repubblica 24/5/2014