Laura Montanari, la Repubblica 24/5/2014, 24 maggio 2014
QUEI RAGAZZACCI DEI FALSI MODÌ “TRENT’ANNI DOPO NON CI PERDONANO”
LIVORNO.
I “ragazzacci”, sono diventati grandi e hanno messo su famiglia. Si sono tenuti alla larga dal mondo dell’arte, la prudenza non è mai troppa in certi casi: «Quella storia ci è rimasta addosso» racconta Pietro Luridiana che oggi a Livorno vende computer dietro il banco di un negozio. Per forza, la beffa delle teste di Modì fece il giro del mondo, viaggiando a mille su tv e quotidiani, ridicolizzando in serie critici d’arte e scienziati vittime di un abbaglio collettivo. Avevano scambiato tre sassi “scarabocchiati” con uno scalpello e un trapano Black & Decker, da un artista anarcoide (Angelo Froglia, morto nel 1997) e da tre studenti freschi di maturità — l’uno all’insaputa degli altri — , per le opere originali di Amedeo Modigliani. Era l’estate del 1984, in città c’era una mostra dedicata al pittore dei ritratti femminili e una ruspa del Comune scandagliava il Fosso Reale vicino al mercato a caccia di tre teste, le sculture che, secondo la leggenda, Modì avrebbe buttato in un momento di buio, nello sconforto dell’artista incompreso: «Non sento Livorno come casa» scrisse.
Trent’anni fa i “ragazzacci” erano tre compagni di liceo che guardavano dalle spallette del canale Livorno entusiasmarsi nella caccia al tesoro: «Si era generata una grande attesa, la benna tirava su di tutto, pezzi di bici, un carretto, sedie e ogni volta scattava il coro “è la bici di Modì”, “è il carretto di Modì” — racconta Michele Ghelarducci che oggi lavora in una ditta di spedizioni a Firenze — dopo qualche giorno però la delusione era palpabile, l’escavatore pescava soltanto fango. Noi appoggiati al Fosso pensammo: qui si deprimono tutti, facciamogli trovare qualcosa... ». Così vanno a casa di un quarto compagno di classe, prendono una vecchia pietra serena e un catalogo su Modigliani: «Naturalmente non avevamo idea di come cominciare » ride Ghelarducci. A completare la formazione degli artefici della beffa, c’è Francesco Ferrucci, oggi oncologo allo Ieo di Milano, responsabile dell’unità di terapia sul melanoma: «Occhi grandi, naso lungo, bocca stretta. Erano le caratteristiche da copiare nei volti di Modigliani — spiega — lavorammo di scalpello e di trapano, all’ultimo mi scappò un colpo che produsse uno sfregio sotto l’occhio sinistro dell’opera e tutti se la presero con me: ci hai rovinato lo scherzo, mi dicevano, non ci cascheranno mai...». E invece, un drink alla Baracchina rossa sul mare per tirare tardi e di notte in gruppo vanno a buttare in acqua la “creatura”, proprio vicino alla ruspa. Due giorni dopo passando dal fosso, Luridiana sente un boato: «Pareva avessero vinto al totocalcio. Chiedo cosa succede e mi dicono che hanno trovato una testa di Modì. Vado a casa e aspetto il telegiornale. Quando passano le immagini mi gelo: non è la nostra pietra che invece verrà ripescata qualche ora più tardi». I tre pensano di averla fatta grossa: «Temevamo di aver danneggiato col lancio dalla spalletta le vere sculture di Mogliani là sotto». Invece Modì 1 e Modì 3 (recuperate il 24 luglio e il 9 agosto 1984) erano le pietre di Froglia che voleva mettere a nudo il mondo dell’arte con una performance-denuncia.
«La nostra burla aveva preso dimensioni impreviste — riprende Ghelarducci — c’erano giornalisti da tutto il mondo e a settembre stavano già stampando un catalogo sulle teste di Modì». Vera Durbé, conservatrice dei musei civici che col fratello Dario, soprintendente alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, aveva convinto il Comune nella ricerca, si espose senza rete: «Non c’è ombra di dubbio che possano essere di Modigliani, basta guardarle quelle teste». Idem il fratello. Uno scienziato accerta pure la presenza di un’alga, prova della lunga permanenza in acqua dei reperti. L’abbaglio prosegue e cadono maestri della critica: Carli, Ragghianti, Brandi, Argan. Le sculture vanno in mostra a Villa Maria accanto ai Modigliani veri e il 2 settembre è prevista la presentazione del catalogo, ma arriva lo scoop di Panorama: «Chiamo il cugino di mia mamma che lavorava nel settimanale e racconto che gli autori di Modì 2 siamo noi». Non basta, si dubita pure della confessione e i tre sono costretti a sottoporsi alla prova tv: armati di scalpello e trapano rifanno tutto davanti alle telecamere. Per trent’anni i falsi Modì restano sigillati in una soffitta del Museo Fattori. «Da tempo diciamo di esporle, quando l’hanno fatto hanno attirato un sacco di visitatori» spiegano gli ex ragazzi. Ora sembra la volta buona: il Comune annuncia che entro fine giugno verrà inaugurata una sala alla Fortezza Vecchia con le tre pietre e la loro storia: «Livorno vuole chiudere la ferita — dice l’assessore Mario Tredici — e ragionare sul rapporto fra vero e falso nell’arte». Ma certe ferite non guariscono mai del tutto: «Non ci hanno nemmeno invitato, il Comune cerca di ignorarci, di escluderci», si lamenta Ferrucci.
Laura Montanari, la Repubblica 24/5/2014