Massimo Calandri, la Repubblica 24/5/2014, 24 maggio 2014
QUEI PADRI PADRONI DI GENOVA SPAZZATI VIA DOPO UN VENTENNIO
GENOVA.
Quando parlava di soldi diceva: le ragazze. Le “mie” ragazze. La parola gli usciva dal cuore, il suono lo riempiva d’allegria. Non aveva trovato termine migliore per allontanare i sospetti di qualche eventuale ficcanaso in ascolto, confessando felice la sua ossessione: «Devo venire su a vedere quelle ragazze», gongolava Giovanni Berneschi al telefono, fregandosi le mani al pensiero del tesoro nascosto in Svizzera. A 77 anni era sempre innamorato, a modo suo. Come Claudio Scajola, che a 67 voleva far scappare lontanissimo Amedeo Matacena per restare vicino a sua moglie, Chiara Rizzo. Invece adesso u ministru è in galera a Regina Coeli, e u sciu Berneschi agli arresti domiciliari.
Il politico arrogante e il banchiere riservato. Così diversi, così uguali. Erano i padripadroni di Genova e della Liguria: nutrivano, coccolavano, minacciavano col denaro della Carige, cosa loro. Una banca che i due si erano spartiti attraverso fedelissimi e familiari (Alessandro, fratello di Claudio, era vice-presidente). Un istituto di credito più solido e credibile di ogni altra istituzione, la chiave di qualsiasi intervento economico e finanziario da Ventimiglia a La Spezia, munifico sponsor (dalle opere infrastrutturali come il Terzo Valico o il Parco tecnologico degli Erzelli, fino alla sagra delle focaccette e pure il Livorno Calcio dell’amico del porto, Aldo Spinelli), salvagente e metronomo della società genovese. Con radici così forti che ora chissà cosa ne sarà, di questa terra che è la più anziana e stanca d’Italia, rimasta orfana in pochi mesi.
«Berneschi l’ho interrogato nel suo ufficio. Me lo ricordo seduto davanti alla grande scrivania, le gambe strette e le mani che tremavano. Aveva paura, lo avevamo scoperto: “Perché ha firmato questa fattura di pagamento per un’azienda fasulla?”. Lui balbettava, stava per cedere». Invece no. Quindici anni fa, un gruppo di finanzieri del Gico aveva già denunciato gli imbrogli dell’istituto di credito genovese con le assicurazioni. Uno degli investigatori ricorda: la notizia di reato alta un palmo, i nomi e le circostanze, le plusvalenze fasulle e i conti truccati, 15 miliardi di vecchie lire, uno scandalo che investiva i maggiorenti della città.
Era solo l’inizio. Le carte però finirono nelle mani del pm di turno — «Uno che si occupava di ambiente» — , la procura si mosse con grande prudenza e l’inchiesta finì per cadere in prescrizione, alcuni reati come la truffa derubricati in quisquilie perseguibili a querela di parte — «Figuriamoci se Berneschi querelava Menconi» — e insomma, dopo un paio d’anni qualcuno raccontò anche di una telefonata di felicitazioni fatta dal tribunale ad un collaboratore di quelli oggi finiti in galera. Perché le radici della Carige sono dovunque. Perché questa è la storia di una città e di una regione. Vecchie, aride dentro.
Quindici anni fa il gip si chiamava Roberto Fucigna. Era presidente di una squadra di pallavolo sponsorizzata dalla Carige Assicurazioni, oggi è pensionato e indagato a Torino per false sponsorizzazioni al club. Superato lo spavento, Berneschi e Ferdinando Menconi (67 anni, perché da queste parti il potere non logora, anzi) avevano intensificato le loro relazioni. Nel giro di poco tempo però erano tornate a circolare delle strane voci sulla gestione della banca, ispezioni e forse un ingresso esterno sembravano imminenti. E allora chi si era speso pubblicamente per riaffermare la genovesità della Carige? Claudio Scajola.
Sono proprio gli anni presi in esame oggi dagli investigatori. Sono quelli del clamoroso crac della Festival Crociere, un buco da 270 milioni che coinvolge manager legati doppio filo a Carige — come potrebbe essere altrimenti, all’ombra della Lanterna? — , che incassa senza battere ciglio una fregatura da 80 milioni. Riccardo Garrone, imprenditore contro, denuncia le “forze del male” che impediscono alla città di decollare. Ma nessuno lo ascolta. E intanto Berneschi concede i soliti prestiti a quei pochi selezionati amici, spesso azionisti: le aziende “rosse” Coop, Coopsette e poi le famiglie Rasero, Scerni, Preziosi, Orsero, Isnardi, Bonsignore, Messina, Rosina, Cozzi Parodi e Risso. Il rosso in bilancio è coperto da un credito miliardario: inesigibile, ma nessuno se ne accorge.
Tarcisio Bertone fu arcivescovo di Genova nel periodo 2002-2006: la Curia ha un proprio rappresentante nel cda della Fondazione Carige da quando la Regione, per scelta del Governatore Cluadio Burlando, ha deciso di farsi da parte. Qualcuno ha messo in fila la parabola discendente di Bertone con quella di Scajola e oggi di Berneschi, ma si sa che i genovesi sono degli inguaribili mugugnoni. Meglio parlare di ragazze.
Massimo Calandri, la Repubblica 24/5/2014