Masolino D’Amico, TuttoLibri – La Stampa 24/5/2014, 24 maggio 2014
LA LOTTA DI CLASSE SI FA ANCHE COL BASEBALL
1955. Nel suo appartamento a Queens Rose Angrush, già sposata Zimmer, subisce da parte dei suoi compagni di partito un processo destinato inevitabilmente a concludersi con l’espulsione dal movimento a causa della sua ormai notoria relazione con un nero per di più poliziotto, e ammogliato. L’intransigenza di cui ora è vittima non sorprende Rose, che proprio dell’intolleranza più irriducibile ha sempre fatto una bandiera, con l’ulteriore fardello di essere molto più intelligente delle persone che la circondano, salvo forse la propria dotatissima figlia Miriam, con cui il rapporto è intensamente conflittuale.
Ultimo grande romanzo americano dal punto di vista di coloro che sono stati sempre esclusi dalla Storia, I giardini dei dissidenti non si articola in una narrazione compatta e consequenziale, ma presenta molto vividamente, e senza seguire un ordine cronologico, episodi nell’esistenza di un gruppo di persone collegate, in un periodo che va dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, evocando le varie epoche solo con piccoli accenni alle tendenze del momento (il rock, i figli dei fiori, le lezioni di Lionel Trilling...).
La fiera pasionaria Rose, che conosce Marx ma che venera soprattutto Abraham Lincoln (l’America che avrebbe potuto essere) è al centro di questi episodi. Ebrea di estrazione proletaria e con molti parenti nei quartieri periferici di New York, Rose sposò a suo tempo un israelita europeo ricco e con nostalgie di decoro borghese - abitava a Lubecca vicino alla casa mitizzata da Thomas Mann nei Buddenbrook -, ma dopo aver tentato di condividere il comunismo di élite di costui lo lasciò ritornare da solo nella Germania Est e rimase con la loro figlia, altro personaggio principale della vicenda. I più vistosi di quelli secondari della quale sono Lenny, veramente nato Lenin, un cugino che ha la passione degli scacchi e della numismatica e che tenta di organizzare una squadra di baseball comunista; e Cicero, figlio del poliziotto nero e gigantesco come lui (150 chili), che l’influenza di Rose porta a tenere corsi di Disgusto e Prossimità in un college del New England, i cui studenti provoca e scandalizza.
I protagonisti, con Rose, sono sua figlia e il figlio di costei. Miriam si emancipa non senza fatica dalla madre autoritaria e possessiva (una volta che la sorprende diciassettenne, seminuda e inesperta, con un coetaneo, teatralmente Rose la trascina nella cucina di casa e la costringe a ficcare con lei la testa nel forno a gas) ed esce dal contesto ebraico per sposare un cantantino rock irlandese, ma non per questo abbandona la lotta di classe, ché dopo avere convinto il coniuge a comporre ballate sulle vittime del capitalismo lo porta addirittura in Nicaragua, a battersi per i sandinisti. In precedenza Miriam ha organizzato per il loro unico figlio Sergius, un ragazzino dai capelli rossi, una educazione rigidamente quacchera, ovvero quanto più possibile lontana dalla propria; ma buon sangue non mente, e crescendo anche Sergius diventa un contestatore accanito e randagio, finendo nel movimento Occupy. Nell’ultima scena del libro lo vediamo fiero di suscitare, in occasione di un imbarco aereo, i sospetti di un funzionario che non riesce a perdonarsi di essersi fatto passare sotto il naso Mohammed Atta.
Sergius è l’unico tra i protagonisti a essere ancora vivo nel nostro secolo. Abbiamo infatti saputo velocemente della morte di Miriam, e assistito a quella molto più elaborata di Rose (accudita da Cicero negli ultimi momenti); era stato recuperato ed eliminato anche il marito snob di Rose, di cui la Stasi ha conservato una corrispondenza con la figlia Miriam, che negli anni ’60 lo aveva rintracciato dietro la cortina di ferro.
Masolino D’Amico, TuttoLibri – La Stampa 24/5/2014