Stefano Mancini, La Stampa 24/5/2014, 24 maggio 2014
“IO, CILIEGINA SULLA MERCEDES VINCO PERCHÉ HO PIÙ FAME”
[Intervista a Lewis Hamilton] –
«Vinco perché ho fame, perché da bambino ero povero». Lewis Hamilton si racconta mentre, seduto dietro alle vetrate del motorhome Mercedes, osserva il lusso ormeggiato nel porto di Montecarlo. «Non ho una barca», dice, anche se potrebbe permettersela. La fame è un ricordo. Il talento l’ha portato a vincere al secondo anno di Formula 1, nel 2008. Tanto tempo fa. Adesso è in testa alla classifica, ha vinto quattro gare consecutive e pare invincibile.
Dica la verità, sei anni fa si divertiva di più. Almeno c’era una Ferrari competitiva, ogni gara era una sfida.
«Non credo di poter scegliere come vincere. Nel 2008 è stato bellissimo lottare con la Ferrari. Massa era più forte nei circuiti ad alta velocità, io su quelli lenti. Adesso il mio avversario è Nico Rosberg, il mio compagno di squadra: ogni volta si parte ad armi pari».
E allora perché vince quasi sempre lei?
«Io sono cresciuto in un paese, a Stevenage, dormivo sul divano a casa di mio padre, mentre lui era a Montecarlo tra gli hotel, le barche e tutto quel genere di lussi. Io sono più affamato di lui».
L’unico pilota che somiglia ad Ayrton è Lewis Hamilton: lo ha detto Viviane Senna, la sorella.
«Viviane è un angelo, una persona splendida. Una volta mi ha premiato, è stato come avere lì suo fratello. Fatico a spiegare quello che significa per me Ayrton. Essere come lui è sempre stata la mia aspirazione: credo di avere la sua stessa passione e voglia di vincere».
Prega prima di abbassare la visiera del casco?
«Ho un rapporto forte con Dio. Prego tutti i giorni, anche prima di mettermi al volante».
È vero che ha tatuate immagini religiose?
«Sì, la Pietà di Michelangelo. Sulla spalla. Per me i tatuaggi hanno un significato, non sono semplici disegni sulla pelle. Quell’immagine mi ha emozionato e ho deciso di portarla con me».
Ha un portafortuna?
«No. Non sono superstizioso e non credo nella fortuna».
Adesso sappiamo che firmare per la Mercedes dal 2013 è stata la scelta giusta...
«Io lo sapevo già prima».
Che cosa le avevano promesso?
«È una squadra giovane con una grande tradizione di successi. Parlando con Niki Lauda ho capito che avevamo gli stessi desideri, sogni, speranze. Ero sicuro che sarebbe diventato un team vincente. Non sapevo quanto tempo ci sarebbe voluto, ma non importava: a un certo punto sarebbe successo, altrimenti non sarei mai venuto qui (ride)».
Ha mai avuto offerte dalla Ferrari?
«Stefano (l’ex dg Domenicali, ndr) è un caro amico, quindi eravamo in contatto. Non è mai stato un segreto che ho una grossa ammirazione per la Ferrari».
Si è mai chiesto cosa avrebbe fatto senza il talento?
«Senza il “dono”? Sono uno sportivo, avrei tentato con un’altra disciplina. Non amo il calcio, però l’ho praticato. Forse avrei tentato quella strada. Non avrei fatto il musicista, perché mio padre non me lo ha permesso».
Lei per anni non ha vinto, lo stesso succede ad Alonso: che cosa gli consiglierebbe?
«Non ho nulla da suggerirgli. Ha vinto due Mondiali, al limite dovrei essere io a chiedere a lui. È un pilota straordinario, tira fuori sempre il massimo dalla macchina. Dovrebbero dargli una monoposto migliore».
I momenti più belli di un fine settimana di gara?
«Il giro di qualifica, la partenza e... il podio!».
La gara preferita?
«Montecarlo. È il circuito più classico del campionato e più difficile perché non ha vie di fuga. È come essere su un ottovolante, senza possibilità di errore».
Serve una preparazione speciale?
«La F1 non è una scienza esatta. Ognuno ha un modo diverso di fare le cose».
La differenza con gli avversari è più una questione di motore, di telaio o di pilota?
«La differenza quest’anno è soprattutto nel team. Sarebbe sbagliato dire che vinciamo grazie a me o a Nico. Noi siamo la ciliegina sulla torta. La Mercedes è la squadra più forte».
C’è un patto con Rosberg per evitare situazioni pericolose?
«Rispettarci l’un l’altro. È l’unica cosa fondamentale, anche se è difficile essere i migliori amici».
Le succede di arrabbiarsi in gara?
«Arrabbiarmi no. In certi momenti provo la frustrazione di non riuscire a fare di più, ma negli ultimi tempi non mi è più successo...».
Stefano Mancini, La Stampa 24/5/2014