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 2014  maggio 24 Sabato calendario

I RIVA RESTANO A TARANTO. MA CERCANO NUOVI SOCI: MARCEGAGLIA O GLI INDIANI


Ora che una sentenza di primo grado ha scritto nero su bianco che l’amianto dell’Ilva ha ucciso gli operai, la città si interroga sul futuro del suo gigante. Lo stabilimento siderurgico abbraccia Taranto a partire dal quartiere Tamburi, sbuffa dai suoi camini, condiziona la vita dei tarantini. Nel bene e nel male. E proprio perché finora l’Ilva è stata parte rilevante di questa vita, i tarantini si chiedono che ne sarà. A Milano il commissario straordinario Enrico Bondi ha incontrato i figli di Emilio Riva scomparso il mese scorso. Con Claudio e Cesare Riva l’uomo inviato sui due mari dal governo ha ragionato sul futuro aspettando di sapere dagli eredi del patron amato e odiato nel golfo se è loro intenzione rimanere, ricapitalizzare oppure se la scelta della famiglia è quella di lasciar perdere Taranto e chiudere così una storia lunghissima vissuta nello stabilimento e nel tribunale.
I Riva restano a Taranto. E questa è una certezza confermata dalle parole di Claudio Riva che dice: «Senza un futuro per l’Ilva penso che ci sia poco futuro per l’Italia nella siderurgia». Ma quel futuro Claudio Riva lo vede comunque «molto complicato». Insomma il gigante - un tempo buono perché dava migliaia di posti di lavoro e ora cattivissimo perché avrebbe seminato morte tra i suoi addetti oltre ad averne ridotto l’occupazione per via della crisi - continua a far discutere i tarantini che guardano verso il rione Tamburi con più di una preoccupazione. Oggi entrando a Taranto si vedono in funzione tre altoforni dell’Ilva. La produzione dell’anno in corso dovrebbe concludersi con sei milioni di tonnellate, quasi al limite del tetto massimo stabilito dall’Aia (otto milioni). All’Ilva lavorano 11.400 persone. Su di loro si è più volte abbattuta la minaccia del licenziamento. Vi ha rimediato la cassa integrazione. Ma ora quei soldi pubblici non ci sono più. All’Ilva si va avanti con i contratti di solidarietà accettati dai lavoratori non senza discussioni e polemiche tra loro e i sindacati. Ma a quel «lavorare meno, lavorare tutti» aveva rivolto un appello il vescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro che in più di un incontro pubblico e in più di un’omelia aveva fatto capire dall’altare che solo la solidarietà umana e quella del contratto avrebbe risparmiato a Taranto un’altra stagione amara: quella della guerra tra poveri costretti a vivere di persona e con le famiglie un’emergenza ambientale gravissima da conciliare con la necessità di lavorare dentro quel gigante che dà speranza e morte.
Il futuro, dicevamo. I Riva restano al loro posto. Ma non da soli. Al commissario straordinario Bondi la famiglia dell’acciaio ha fatto capire di essere disponibile a far sì che nella società entrino nuovi soci. Manifestazioni di interesse? Per ora niente di concreto. Solo indiscrezioni e voci. Una porta alla cordata Arvedi-Marcegaglia. L’altra fino in India nel quartier generale di Lakshmi Mittal, re dell’acciaio che starebbe valutando un investimento a Taranto.

Carmine Festa, La Stampa 24/5/2014