Ilaria Maria Sala, La Stampa 24/5/2014, 24 maggio 2014
“MAFIOSO E CORROTTO”. A MORTE IL TYCOON PROTETTO DA BO XILAI
Fino a due anni fa era uno degli uomini più ricchi e potenti della Cina. Ieri, dopo diciassette giorni di processo, il miliardario Liu Han, 48 anni, è stato condannato a morte.
La stessa sentenza si è abbattuta anche sul fratello, Liu Wei e altri tre collaboratori. Il Tycoon è accusato di aver tenuto in piedi un’organizzazione «di stampo mafioso» nel Sichuan, i cui tentacoli si estendevano fino a Pechino e in tutto il resto della Cina. Ma non basta: sulle loro spalle le accuse omicidio, guadagni illeciti, gestione di carceri illegali, corruzione.
Una fine drammatica per il «re delle miniere», a capo dell’azienda Hanlong, con sede nel suo Sichuan, dove era «padrone» indiscusso. Forte delle sue conquiste nel settore delle risorse in Cina, Liu aveva cercato di espandere il suo impero minerario anche in Australia, tentando - senza successo - di acquistare la Sundance Resources Ltd, le Moly Mines e la Bannermen Mining. Non di meno, le sue cene a Sydney erano diventate famose: comprava ed elargiva il più costoso vino francese, spendendo più di 100.000 euro a cena solo in bottiglie pregiate. Amante delle auto, conduceva una Lamborghini SuperVeloce China, un modello esclusivo a edizione limitata per miliardari cinesi come lui, ma si vantava di avere «almeno altre 80 automobili di lusso». E rideva sui milioni di dollari che perdeva regolarmente ai tavoli dei casinò di Macao, Singapore e negli Stati Uniti. Briciole: la rivista «Forbes» lo aveva classificato 148esimo nella lista degli uomini più ricchi della Cina. Secondo l’agenzia di stampa cinese Xinhua, che ha dato notizia della sua condanna a morte, Liu aveva accumulato «6,4 miliardi di dollari Usa grazie al suo impero criminale», passando dall’essere «un gangster di piccola pezzatura a miliardario».
Elementi criminosi nel suo passato sembrano di certo abbondare, ma la sua caduta ha anche molto a che vedere con l’attuale campagna contro la corruzione, e con una resa dei conti ai più alti livelli del potere cinese. Gli stessi agganci politici che lo avevano favorito nella sua scalata alla ricchezza lo hanno ora fatto cadere: Liu era infatti sotto l’ala protettiva di Bo Xilai, ex-segretario di Partito di Chonqing, oggi all’ergastolo per omicidi e di Zhou Yongkang, ex capo dei servizi di sicurezza, ma anche di quella che è stata battezzata la «gang del petrolio». Dopo essere stato ministro della Terra e delle Risorse Naturali e direttore del colosso statale del petrolio cinese, la Cnpc, divenne membro del Comitato Permanente del Politburo. Rivale dell’attuale Presidente e Segretario Generale di Partito Xi Jinping, vede ora la lotta alla corruzione voluta da quest’ultimo divenire un’arma perfetta per sbarazzarsi anche dei nemici. Per il momento Zhou non è stato accusato di nulla, ma intorno a lui si sta facendo il vuoto, arresto dopo arresto. Chi segue le vicende della politica cinese osserva con incredulità, chiedendosi se davvero Xi Jinping vorrà rompere il patto non scritto che ha garantito transizioni di potere tranquille, che prevede che i grandi di ieri, una volta pensionati, siano lasciati indisturbati.
Ilaria Maria Sala, La Stampa 24/5/2014