Giulio Giorello, Corriere della Sera 24/5/2014, 24 maggio 2014
COME DIFENDERSI IN RETE DALLE LEGGENDE SULLA SCIENZA
Tra «i derelitti e perditempo», che affollano la taverna del famigerato Skin-the-Goat (Scorticacapre) nella notte tra il 16 e il 17 giugno 1904 un marinaio ne racconta di tutti i colori: cannibali sudamericani che pasteggiano col fegato crudo di un cavallo morto, asiatici che preparano un succulento pasticcio di topo, e perfino «un coccodrillo che mastica un’ancora come un qualsiasi pezzo di tabacco tra i nostri denti». Buon appetito! Così James Joyce si beffa nel suo Ulisse di coloro che si divertono a diffondere le storie più strampalate. Pensate ora a un pub grande come tutta la Rete e lasciate che qui circolino le notizie più bizzarre tipo «I vaccini fanno diventare autistici i nostri pargoli», oppure «Chi è vegano non si ammalerà di cancro», oppure «Con pochi mezzi è possibile realizzare la fusione fredda persino nel vostro scantinato» (speriamo di no!), eccetera eccetera. Di questa infezione è vittima soprattutto l’impresa tecnico-scientifica, da ben prima di Internet. All’alba della modernità Galileo e Cartesio invano protestavano contro il moltiplicarsi di spiegazioni fasulle sulla stampa dell’epoca; e alla fine persino l’Illuminismo non è riuscito ad arginare la marea di quelle che liquidava come «pure superstizioni».
Ci deve essere qualcosa entro la scienza che giustifica il fenomeno. Forse è lo specialismo di molti scienziati, che ora sembrano gli araldi di una nuova salvezza e poi deludono con la «normalità» dei loro risultati. O forse è il fatto che l’arida scienza, come diceva Friedrich Nietzsche, col suo stesso progresso «toglie gioia», o almeno elimina consolazioni a buon mercato. Non siamo più al centro dell’Universo, abbiamo con le scimmie più tratti comuni di quanto vorremmo ammettere, e una macchina può essere così sofisticata da batterci in complessi giochi di intelligenza. Ma intanto la scienza «ufficiale» appare il prodotto di una comunità chiusa nei propri laboratori, trincerata dietro incomprensibili formule matematiche, protetta in modo «asettico» dal turbinio delle emozioni.
Eppure, proprio la Rete potrebbe essere uno dei luoghi della comunicazione fra amministrazione, politica, industria, da una parte, e mondo tecnico-scientifico, dall’altra. Anzi, «quello strumento resta comunque il più potente per raggiungere le giovani generazioni, che non possiamo perdere nel nostro lavoro di educazione alla ricerca», mi dice Gianluca Vago, rettore dell’Università degli Studi di Milano e specialista in Anatomia patologica: «Dobbiamo sforzarci di utilizzare lo stesso linguaggio della Rete per far capire quelli che sono gli aspetti più salienti dell’impresa scientifica, nell’accezione più ampia del termine». Né dobbiamo dimenticare che dietro la mandria delle «bufale» che impazzano nella Rete ci potrebbe essere un fuoco «democratico» che anima coloro che mal sopportano una barriera rigida tra competenza e ignoranza. Una reazione comprensibile di fronte a quei ricercatori che esitano a uscire dalle trincee in cui definiscono la loro disciplina.
Ma ai luoghi comuni (sbagliati) che la Rete costruisce mancano due doti che invece contraddistinguono l’investigazione spregiudicata della realtà: coraggio e modestia. Niente moto perpetuo, ma consapevolezza del costo di qualunque forma di energia; niente cure miracolose del cancro o di qualsiasi altro flagello dell’umanità, ma paziente sperimentazione sui farmaci; niente messaggi dagli spiriti, ma puntigliose analisi di cosa sono la vita e la coscienza. Coraggio e modestia richiedono anche l’assoggettarsi al dovere del ragionamento coerente e della prova controllabile. Questa non è una burocratizzazione della ricerca, semmai il suo contrario; e se università, istituti superiori, centri di eccellenza scientifica eccetera riusciranno nei modi più vari e originali a presentare non tanto questo o quel risultato quanto tale atteggiamento di fondo, avranno dato un’ulteriore dimostrazione che la conoscenza è forza democratica per eccellenza, mentre una società ove la conoscenza viene confinata in piccole isole resta terribilmente fragile e può subire dure involuzioni autoritarie, anche... grazie alla Rete.