Fabio Savelli, Corriere della Sera 24/5/2014, 24 maggio 2014
SHOPPING, TRAFFICO E SPIRITO ZEN: IL GOLPE (SOFT) DELLA THAILANDIA
Si fa chiamare mister Lucky, perché dice, «ai turisti da sempre porto fortuna». Occhi a mandorla e carnagione olivastra ha una leggera balbuzie che lo costringe a esprimersi in un inglese stentato. Al volante dell’auto a noleggio accoglie con spirito zen la notizia appena diffusa dalla radio: «Nulla di grave, tutto previsto». Che dissimuli o meno, non è dato saperlo. Il turista, d’altronde, paga (bene) e forse conviene trasmettere serenità. La città è congestionata come sempre. Decine di chilometri di coda precedono lo svincolo per Chatuchak, il mercato del fine settimana ritrovo dello shopping compulsivo. Compaiono mascherine antismog ovunque, lui resta alla guida senza manifestare alcun disappunto e dispensando sorrisi alla bisogna.
Alle ore 16.30 locali di giovedì va in scena il colpo di Stato più soft che la storia ricordi. Qualche sparuto pacifista sfila per la centralissima piazza Siam tentando di innescare qualche scaramuccia con i soldati nelle strade per vietare gli assembramenti con più di cinque persone. Tentativo superfluo. Sarà la religione buddhista prevalente in ampi strati della popolazione, sarà la trama non così inusuale da queste parti (è il dodicesimo golpe negli ultimo 70 anni), l’impressione è che gran parte del Paese parteggi per il Consiglio nazionale guidato dal generale Prayuth Chan-ocha che ha sospeso la Costituzione e ha imposto il coprifuoco nelle ore notturne provocando la reazione stizzita della comunità internazionale. Nell’annuncio urbi et orbi che precede lo stop delle trasmissioni televisive pone l’accento sulla sicurezza: «Giusto o sbagliato che sia, devo prendere il potere per ristabilire l’ordine».
Una folta comunità di nostri connazionali è in questi giorni a Bangkok per Thaifex, una delle principali fiere dell’alimentare del Sudest asiatico. Tutti cercano l’importatore locale capace di aprire loro il mercato thailandese che, al netto dell’instabilità politica e dei dazi doganali, promette lauti guadagni e consente di differenziare l’export. Lui, il generale al timone del Paese, è ben consapevole che gli investimenti esteri sono una manna dal cielo. Ieri dopo aver convocato i principali esponenti politici nel tentativo finora abortito di riprendere i negoziati tra filo (le camicie rosse) e antigovernativi, è corso a incontrare gli ambasciatori esteri per rivendicare la temporaneità dei diritti civili sospesi e la volontà di procedere a nuove elezioni democratiche appena sarà passata la nottata. La Thailandia è piombata nel caos il 7 maggio scorso quando la Corte costituzionale aveva destituito l’ultima rappresentante della famiglia Yingluk Shinawatra (il fratello è il magnate Thaksin all’estero dal 2008 a causa di una condanna per abuso di potere) per aver nominato a capo della Sicurezza una persona a lei vicina provocando il malumore della casa reale e dell’esercito da sempre legato alla Corona. Da quel momento sono cominciati gli scontri tra le diverse fazioni che hanno portato al golpe dei militari. Ieri la decisione di arrestarla, insieme al predecessore Somchai Wongsabat, e alla sorella Yaowapa, moglie di Somchai. Scelta che rischia di esacerbare gli animi tra le camicie rosse legate alla dynasty, supporter del populismo in salsa thai ammantato di (presunta) volontà di emancipazione delle classi contadine del Nord che mal digeriscono le élite aristocratiche di Bangkok, legate — accusano — all’antagonista Comitato popolare per la riforma democratica (Pdrc).
Gli occhi degli osservatori sono puntati su quello che può succedere oggi nella manifestazione indetta dai «rossi» nella capitale dove il confronto con i militari può sfociare in violenze e scontri. Ma soprattutto su quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni nelle regioni al confine con Laos e Myanmar dove le «camicie rosse» sono la stragrande maggioranza e potrebbero alimentare un conflitto permanente a bassa intensità. Gli Usa hanno sospeso 3,5 milioni di dollari di aiuti militari e il dipartimento di Stato sta riesaminando altri 7 milioni in assistenza bilaterale. Ieri per tutta la giornata si sono susseguite le voci di un governo di esilio guidato dal primo ministro facente funzione Niwattumrong Boonsongpaisan. L’ipotesi per il momento sembra essere tramontata, ma non è escluso che possa riprendere quota nei prossimi giorni spaccando il Paese a metà in una contrapposizione città-campagne con l’esercito reale chiamato in un’opera di mediazione a rischio fallimento. Perché ciò che manca ai militari è la possibilità di ricomporre socialmente il Paese, tagliato in due anche a causa della propaganda di Thaksin, tycoon televisivo che ha saputo in questi anni costruirsi uno zoccolo elettorale di riferimento. Sullo sfondo il conflitto interno alla famiglia reale con la figura controversa del principe 61enne Maha Vajiralongkorn, che attende ancora in linea di successione mentre suo padre, Bhumibol Aduyadej, non sembra volergli lasciare il trono per una presunta contiguità con la famiglia Shinawatra che imbarazza da anni la Corte.
Fabio Savelli