Claudio Cerasa, IL 22/5/2014, 22 maggio 2014
BACKSTAGE CHIGI
Salamini. Yoga. Calcioni sugli stinchi. Palloni a sfiorare gli arazzi del settecento. Imitazioni di D’Alema. Cartoni di pizza. Pose da Cavaliere. Mettiamola così: il Re è nudo ma non in quel senso lì. In questo articolo non parleremo di mutande. O almeno ne parleremo il meno possibile, perché qualche mutandona a Palazzo Chigi, in realtà, in questi primi mesi di regime renziano, è stata avvistata davvero (tranquilli, non è quello che pensate). Ciò di cui parleremo in questa lunga passeggiata nel backstage del Governo si riferisce a un tema diverso. Il lato più frivolo, più leggero, più immediato del Governo Renzi.
Negli ultimi tre mesi il cronista ha raccolto alcuni dettagli e alcune scene e alcuni episodi che messi insieme uno accanto all’altro descrivono bene, non tanto il clima, l’ambiente, l’atmosfera, quanto la dimensione reale del Governo guidato dal segretario del Pd. Un Governo leggero, informale, confidenziale, molto cool, molto friendly, molto snello, molto gggiovane, molto patinato, e che vive sempre lì, sul filo: a metà tra l’essere allo stesso tempo gioiosamente inesperto e magnificamente dinamico e tra l’essere allo stesso tempo drammaticamente incosciente ed eccezionalmente improvvisato. E allora eccola qui la domanda: ma che succede a Palazzo Chigi, con Renzi? Come sono stati i primi novanta giorni di Governo, visti da dentro? E in quali forme si è manifestato il nuovo corso renziano nella vita quotidiana dei palazzi di governo? Abbiamo parlato per alcune settimane con amici, nemici, commessi, amici dei commessi, addetti stampa, ministri, sottosegretari, amici dei ministri, amici dei sottosegretari, consiglieri, amici dei consiglieri, rosiconi, cacciatori di gufi, conservatori, nemici dei conservatori: e alla fine, tra palle da rugby lanciate tra gli arazzi della Sala dei mappamondi, ginocchia sbucciate di Graziano Delrio accanto al Salone d’oro, scene di yoga in Consiglio dei ministri, pennette cucinate dai sottosegretari, salami inforchettati al terzo piano dai viceministri e giornalisti disperati che si aggirano tra le poltroncine del Salottino giallo («Matteo, ti prego, un minuto, mi basta un minuto»), abbiamo ricostruito che cosa succede – e soprattutto che cosa si vede e che cosa non si vede – passeggiando, oggi, tra i corridoi di Palazzo Chigi.
I nomi, innanzitutto. A Palazzo Chigi chi è ammesso dal presidente del Consiglio fuori dai tradizionali orari di lavoro sono due diverse categorie di “collaboratori” del Rottamatore. Della prima categoria fanno parte gli amici di una vita, quasi tutti fiorentini. Della seconda categoria fanno parte alcuni selezionati renziani della seconda ora. Nella prima categoria ci sono Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Marco Carrai, Francesco Bonifazi. Nella seconda categoria ci sono, oltre a Graziano Delrio, anche Lorenzo Guerini, Stefano Bonaccini, Angelo Rughetti, Yoram Gutgeld, Deborah Serracchiani. Oltre, naturalmente, a Filippo Sensi. Sia con i primi sia con i secondi Renzi condivide alcuni appuntamenti fissi, quelli più formali. Il lunedì, con i vicesegretari del Pd (Guerini e Serracchiani), Lotti, Delrio (che tutti a Palazzo Chigi giurano di aver visto più di una volta impegnato a fare silenziosi esercizi di yoga durante i Cdm) e un ministro a scelta a seconda degli argomenti della settimana, si parla di agenda di governo e di agenda di partito. E dopo cena, con un paio di cartoni della pizzeria al taglio di via Santa Andrea delle Fratte numero 28, si pianifica il lavoro. Mercoledì, il giorno prima del Consiglio dei ministri, stessa scena, ma senza Serracchiani e con l’innesto di Boschi.
Ogni renziano ammesso a Palazzo Chigi ha un ruolo ufficiale e uno ufficioso. Lotti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, è, come ai tempi di Palazzo Vecchio, quando Renzi era sindaco e Lotti era il suo capo di gabinetto, il vero braccio destro di Renzi, il Doug Stamper di House of Cards: è lui che ha i contatti giusti con le forze dell’ordine, è lui che ha i contatti giusti con i servizi segreti, è lui che, insieme con Boschi e Guerini, compone la triade che ha affiancato a Montecitorio la presidenza del gruppo Pd guidata da Roberto Speranza. Marco Carrai, invece, amico da una vita di Renzi e uno dei sui consiglieri più fidati, tra marzo e aprile ha dato un suo contributo a Graziano Delrio (il walkie-talkie di Renzi con il Quirinale) e Luca Lotti (detto “il Lampadina”) per scegliere i nomi giusti cui affidare ruoli di peso nelle società controllate dallo Stato.
Bonifazi – che nella vita oltre che il deputato fa il tesoriere del Pd, e che in una vita precedente lavorava a tempo pieno in uno studio legale fiorentino specializzato in diritto amministrativo da cui Renzi ha pescato il ministro Boschi – non ha un ruolo operativo sui dossier del Governo ma ha più una funzione da, diciamo così, uomo spogliatoio (sia dentro Palazzo Chigi sia fuori Palazzo Chigi, dove Bonifazi organizza spesso serate di karaoke a casa di Rughetti, sottosegretario alla Pubblica amministrazione, uomo di cui Renzi si fida ciecamente dal giorno in cui, nella primavera del 2012, gli presentò, in un ristorante romano a due passi dal Circo Massimo, San Teodoro, Graziano Delrio).
Gutgeld, deputato del Pd, ha dall’inizio della legislatura l’incarico ufficioso di consigliere economico del presidente del Consiglio e gli uscieri lo vedono entrare e uscire dal primo e dal terzo piano di Palazzo Chigi quasi sempre il giorno prima del Consiglio dei ministri. Vedono Gutgeld, gli uscieri, ma vedono anche altro. Perché passeggiare oggi a Palazzo Chigi significa anche questo. Significa incrociare Matteo Renzi al telefono che, poco prima di parlare con Vladimir Putin del destino dell’Ucraina, sgrida Dario Nardella per un tweet fatto su Gabriel Omar Batistuta («Sei un disastro, Batistuta aveva il numero nove, non il numero dieci»). Significa incrociare commessi increduli che ti raccontano quella volta che Renzi si è presentato in portineria in versione Folco Terzani – scalzo, jeans strappati, maglietta bianca, barba sfatta – chiedendo gentilmente di ricordargli da che parte bisognava andare per raggiungere lo studio di Graziano Delrio. Significa incrociare addetti stampa preoccupati che ti raccontano quella volta che Renzi, Lotti e Bonifazi hanno cominciato a lanciarsi da una parte all’altra della Galleria Deti, al primo piano, a fianco all’ufficio di Renzi, il pallone da rugby donato al presidente del Consiglio dalla squadra rugby di Treviso (i commessi sono quasi svenuti). Significa incrociare assistenti di un ministro che ti raccontano quel pomeriggio in cui Renzi si è infilato nella stanza di Delrio (la vecchia stanza di Romano Prodi) per discutere della riforma della Pubblica amministrazione per poi uscirne un’ora dopo completamente pezzato e con un pallone da calcio sotto braccio che Delrio aveva messo da parte per i figli di Renzi e con cui il presidente del Consiglio aveva invece ingaggiato una sfida a “chi fa il fallo più pesante” con lo stesso Delrio. Significa ascoltare da alcuni ministri le storie delle cene organizzate nell’appartamento di Renzi dal cuoco preferito del presidente del Consiglio (si chiama Delrio, fa ottime pennette al sugo, e qualche volta, a cena, per accompagnare i pasti, affetta anche deliziosi salami gentilmente offerti da alcuni consorzi). Significa incrociare amici di Renzi che ti raccontano quelle sere in cui il segretario del Pd, con la scusa di dover discutere del Def, chiede ad alcuni amici (come Guerini e Bonaccini) di lasciare il ristorante in cui si trovano e di raggiungerlo urgentemente in camera per mangiare una pizza e parlare fino a notte inoltrata del Documento di economia e finanza (in una di queste riunioni alcuni dei presenti raccontano di aver visto Renzi discutere in mutande di pareggio di bilancio mentre mangiava fettine di prosciutto crudo). Significa, ancora, ascoltare dalla voce di alcuni addetti stampa scene che testimoniano il senso di prigionia avvertito da Renzi nei saloni del Palazzo (Renzi che scappa con Filippo Sensi alla libreria Feltrinelli; Renzi che scappa con Lotti e la scorta a giocare a calcetto; Renzi che ordina una cyclette per smaltire la panzetta, tema che ossessiona il presidente del Consiglio in una misura non inferiore ai vincoli del Fiscal Compact; Renzi che la domenica, dopo pranzo, seduto per terra, quando c’è il sole, dedica un’ora e mezza di lettura ai giornali, nel cortile-parcheggio di Palazzo Chigi). E significa, infine, ascoltare le testimonianze di altri commessi che ti raccontano che nella storia recente di Palazzo Chigi non era mai successo che ci volessero più di due mesi per scegliere i capi di dipartimento, i capi di gabinetto, i capi ufficio stampa, i capi dell’ufficio legislativo (e il risultato è che fino a metà maggio gran parte delle stanze di Palazzo Chigi erano vuote; in assenza di capi di gabinetto il ruolo pro tempore di chief of staff lo riveste Lotti, in assenza di un ufficio stampa ufficiale è il capo ufficio stampa del Pd a seguire la comunicazione di Renzi, ovvero Filippo Sensi, e a Sensi capita spesso di dover discutere in portineria per avere un badge provvisorio per entrare a Palazzo Chigi, «Scusi, Sensi chi?», e in assenza di personale intermedio capita anche che componendo a tarda sera il numero del centralino di Palazzo Chigi, 06 67791, siano i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio a rispondere al posto dell’ufficio stampa o delle segretarie). Passeggiare a Palazzo Chigi di questi tempi significa tutto questo. E significa anche arrivare a Piazza Colonna, prendere l’ascensore, salire al primo piano, infilarsi nella Galleria Deti e incontrare Renzi che mentre si mette in posa per uno shooting per il Time si sente dire dal fotografo del settimanale: «Signor presidente, le consiglierei di non farsi fotografare con quella posa di fronte alla finestra: è la stessa posizione che scelse Berlusconi quando fece il servizio con noi». Significa anche incrociare Renzi che mentre pesca alcune fette di roast-beef in mezzo agli evidenziatori sparpagliati sulla sua scrivania passa il tempo a confrontarsi con Sensi imitando un suo famoso predecessore con i baffi: questa cosa non la facciamo, diciamo; questa intervista la rimandiamo, diciamo: questa agenzia la lanciamo, diciamo. Passeggiare a Palazzo Chigi di questi tempi, infine, significa origliare anche alcune telefonate del presidente del Consiglio che almeno un paio di volte al mese, prima degli appuntamenti importanti, quando non si lamenta per la panzetta, per l’assenza di wi-fi nelle stanze di governo, per la sua vita monastica, per avere spunti, idee, chiavi di interpretazione, suggerimenti narrativi, chiede una mano a un gruppo di scrittori amici, a un team di narratori, capitanato da Alessandro Baricco (la stanza di Renzi, primo piano, affaccio sul cortile, è la stessa di Letta, e l’unica modifica rispetto allo studiolo usato dall’ex premier è il quadro in bianco e nero di Giorgio La Pira poggiato all’ingresso della sala, su un comodino di legno, dove invece Letta aveva poggiato un acquerello raffigurante una Vespa regalatogli dal giornalista di La7 Andrea Pancani).
In questo gioco di specchi, triangolazioni, cene informali, riunioni descamisade (anche con Manuel Valls, premier francese), iniziative improvvisate, Def messi a punto con abiti non proprio da cerimonia, giornalisti che provano in tutti i modi a essere ricevuti a Palazzo dal principe (su tutti Claudio Tito, capo del politico di Repubblica, unico giornalista del quotidiano di Ezio Mauro ad avere un rapporto continuativo con Renzi; a seguire Mario Calabresi, che a Palazzo Chigi è di casa, e lo era anche con Berlusconi, con Monti e con Letta, e lo è anche oggi con Renzi, e non sempre si presenta a Piazza Colonna con i Google Glass; infine, Aldo Cazzulo, unico giornalista del Corriere della Sera insieme con Maria Teresa Meli ad avere un filo diretto con il presidente del Consiglio, e avvistato con una certa frequenza sotto Palazzo Chigi con il telefonino in mano per chiedere disperatamente a Filippo Sensi o a Marco Agnoletti, ex portavoce fiorentino di Renzi, oggi di Dario Nardella, uno spazio per essere ricevuto dal premier e scrivere il libro Magari con il segretario del Pd.
In questo clima, si diceva, nella famiglia renziana, all’interno dello spogliatoio – tra un salame, una partita della Fiore, una pizza con Guerini, un giro sulla cyclette – i due uomini del presidente che nella loro quotidianità vengono osservati con più curiosità sono Delrio e Lotti. Il primo, ex sindaco di Reggio Emilia, ex capo dell’Anci, rappresenta la traduzione simultanea in provvedimenti legislativi dei fuochi d’artificio del renzismo ed è l’unico politico estraneo al giro fiorentino a cui Renzi ha concesso l’ingresso nel cerchio magico. Il secondo, deputato, responsabile organizzazione del Pd, oggi sottosegretario alla presidenza del Consiglio (è lui che ha convinto Renzi ad assumere come capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi l’ex capo dei Vigili urbani di Firenze Antonella Manzione), è l’uomo che spesso ha il compito di dimostrare, con tutti i mezzi e le risorse a disposizione, che anche le idee più stravangati di Renzi sono fattibili, che basta la volontà politica, e che tutto si può fare, e che palle questi tecnicismi.
Non sempre però Lotti e Delrio viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e su alcune partite importanti (vedi il capitolo delle nomine degli enti pubblici, vedi il capitolo delle nomine dei sottosegretari) a Palazzo Chigi in molti hanno notato che a parte la differenza di età – 32 anni il primo, 54 anni il secondo – la distanza tra i due non è solo fisica (Lotti si trova nella stanza accanto all’ufficio di Renzi, Delrio è dalla parte opposta del Palazzo), ma è legata anche alle diverse provenienze culturali. E come è naturale che sia, non sempre il mondo toscano e ultra renziano rappresentato da Lotti si è trovato in profonda sintonia con il mondo emiliano e molto legato all’Anci del sottosegretario Delrio. E a mediare tra Lotti e Delrio, quando le circostanze lo consentono, sono Stefano Bonaccini (responsabile enti locali Pd) e Lorenzo Guerini (vicesegretario).
Piccole cose. Ma più in generale, in questa fase, un ruolo di raccordo importante all’interno dell’universo renziano lo ricoprono due uomini particolari. Da un lato Sensi, sparring partner del presidente del Consiglio, l’Alastair Campbell della rottamazione (l’idea della banana con Prandelli in onore del difensore del Barcellona Dani Alves è sua), ufficio al primo piano, nella vecchia stanzona di Paolo Bonaiuti, dove un tempo, durante il Governo Berlusconi, vi era il famoso e gigantesco tavolo di Benito Mussolini che oggi però nessuno sa dove sia finito. Dall’altro, Giuliano da Empoli: ex assessore alla Cultura del Comune di Firenze, ex coordinatore della campagna elettorale del 2012 di Renzi, capo del Gabinetto Vieusseux di Firenze, colonna anche di IL, che, dopo essersi allontanato da Renzi nel corso del 2013, a fine aprile (i due si sono visti il 23 aprile) è stato richiamato dal presidente del Consiglio. Il ruolo, formalmente, è quello di consigliere politico ma sostanzialmente Giuliano da Empoli avrà il compito di mettere insieme i vari pezzi del mosaico renziano, e dar vita all’interno di Palazzo Chigi a una sorta di centro studi non ufficiale che faccia circolare idee e organizzi incontri, seminari, mini convegni.
Gli amici di Renzi, i collaboratori, gli estimatori, descrivono l’occupazione di Palazzo Chigi con lo stesso tono entusiastico, spensierato e carico di cuoricini di chi sente di essere lì lì per scrivere l’ultimo e inedito capitolo dei Ragazzi della via Pál. I diversamente amici di Renzi, invece, osservando lo spogliatoio di Palazzo Chigi, il suo carattere informale, questa sua inesperienza travestita da genuinità, lo descrivono con un tono e uno sguardo simile a chi si è ritrovato di fronte a scene non troppo diverse dai famosi fotogrammi in bianco e nero di quel Charlie Chaplin impegnato, nel film Il grande dittatore, a palleggiare con un pallone a forma di mondo. Un po’ via Pál. Un po’ Occupy. Un po’ Chigi by night. Un po’ spogliatoio. Un po’ incoscienza. Un po’ rivoluzione. Con la speranza diffusa che il mondo di Renzi, naturalmente, non faccia la stessa fine del palloncino di Charlie Chaplin.