Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 24 Sabato calendario

DA ABENOMICS A PIGS ABBECEDARIO DELLA CRISI


Dismal science, ovvero scienza triste. È passato più di un secolo e mezzo dalla celebre definizione di Thomas Carlyle, eppure l’economia stenta ancora a liberarsi dalla sinistra fama che la accompagna. Sarà perché dai tempi di Carlyle (1795-1881) – che sono quelli, nella storia della disciplina, di Ricardo, Malthus e John Stuart Mill – si è notevolmente accresciuto l’utilizzo della statistica e della matematica, materie considerate spesso – e a torto – aride e astruse.
Tutt’altro che arido appare tuttavia il “vocabolario” con cui economisti e analisti economici hanno descritto questi anni di crisi.
Sarcastico e tagliente è innanzitutto l’acronimo con cui sono stati etichettati i Paesi più fragili ed indebitati dell’eurozona: Pigs (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), che in inglese significa “maiali”. Già in uso negli anni Novanta, con la crisi bancaria scoppiata in Irlanda nel 2007 la sigla si è trasformata in Piigs, ma non ha evidentemente perso i suoi connotati dispregiativi. A seguito delle proteste del ministro delle finanze portoghese Manuel Pinho e della stampa dei Paesi mediterranei – secondo i quali l’espressione richiamava riferimenti razzisti – ne è stato comunque ridimensionato l’utilizzo: il Financial Times e la banca Barclays l’hanno addirittura bandito dal loro vocabolario.
Contrapposti ai Pigs c’erano i Safe Heaven, i Paradisi Sicuri del Nord Europa, dove gli investitori potevano contare sulla stabilità delle istituzioni, l’affidabilità dei conti pubblici e l’estraneità ai rischi legati alla moneta unica (Svezia, Norvegia e Regno Unito non adottano l’euro). Proprio questi paesi sono stati le “vittime” dell’euforia che ha investito i mercati all’inizio del 2014 scatenando una corsa all’acquisto di azioni e titoli pubblici di tutta l’area euromediterranea. Il cambiamento del mood fra gli investitori ha così trasformato i Safe Heaven in Fake Heaven, Paradisi Farlocchi.
Nel frattempo anche i famosi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, cui si è poi aggiunto il Sud Africa) sembrano aver perso, almeno in parte, quella straordinaria forza propulsiva che li caratterizzava fino a pochi anni fa, quando l’acronimo fu coniato dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill.
Chi invece è tornato a crescere in modo sostenuto, dopo quasi due decenni di stagnazione, è il Giappone. La ricetta della rinascita porta il bizzarro nome di Abenomics, ovvero economia di Abe. Il liberaldemocratico Shinzo Abe è stato rieletto premier alla fine del 2012 (dopo un primo incarico ricoperto fra il 2006 e il 2007) ed ha avviato subito una terapia shock per il sistema economico del suo paese fatta di massicci stimoli fiscali e monetari. I risultati non hanno tardato ad arrivare, con una crescita che già da quest’anno, secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale, dovrebbe avvicinarsi al 2%.
Emilio Carnevali